24 Aprile 2024 15:53

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24 Aprile 2024 15:53

IMPERIA. VIAGGIO TRA I MIGRANTI OSPITATI DAL CENTRO DI SOLIDARIETÀ L’ANCORA. “IN 200 SU UNA BARCA, SENZA ACQUA NE CIBO, SONO ARRIVATA IN ITALIA, POI…”/IL REPORTAGE

In breve: Il Centro di Solidarietà l’Ancora ha messo a disposizione da diversi mesi , su invito della Prefettura, alcune strutture per l’accoglienza di migranti

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Il Centro di Solidarietà l’Ancora ha messo a disposizione da diversi mesi, su invito della Prefettura, alcune strutture per l’accoglienza di migranti. Attualmente ne ospita 16 a Vallecrosia, 18 a Garessio, 30 a Bajardo, 22 a Verdeggia e 17 a Imperia. Si tratta per lo più di Bengalesi, Maliani, Gambiani, Ghanesi, Senegalesi e Nigeriani.

I migranti giunti in Italia nei mesi scorsi via mare dalle coste libiche, vengono in molti casi sottoposti ad un primo controllo medico e alla foto segnalazione già all’interno dei centri di prima accoglienza. Queste procedure vengono poi completate o espletate da zero una volta raggiunte le strutture ospitanti, in attesa eventualmente di ricevere i documenti necessari per la libera circolazione sul suolo italiano. Molti di loro desiderano, infatti, rimanere in Italia e per questo avanzano la richiesta d’asilo proprio nel nostro paese.

“Voglio vivere in Italia per sempre, fermarmi qui, trovare un lavoro e poi portare la mia famiglia. Non posso più tornare in Bangladesh, lì sarei perseguitato – spiega Rajual, 19 anni di Comilla, il padre con un passato in politica – La mia famiglia ha messo da parte i soldi per il viaggio. 5.500 euro per raggiungere in aereo la Libia. In Bangladesh ci sono compagnie che ti organizzano tutto, compresa la permanenza in Libia. Io ci ho vissuto un anno, ho anche lavorato i primi mesi, ed ho imparato l’arabo. Poi è arrivato l’ISIS e così non sentivo più al sicuro nemmeno lì. Ho dovuto pagare altri soldi, circa 700 euro per attraversare il Mediterraneo, stipati in 200 su di una piccola barca, senza acqua, né cibo, né gabinetto alla deriva in mezzo al mare”.

Alla nostra domanda se il suo obiettivo fosse stato sin dall’inizio raggiungere l’Europa o l’Italia e che quindi l’ISIS sia stato solo un imprevisto che ha accelerato una scelta già presa precedentemente, Rajual insieme all’amico Nuruzzaman, sorride ma non risponde. Teme che possa dire qualcosa che possa costargli la richiesta d’asilo. Certamente quello che non nasconde è la voglia di fare, di non starsene lì con le mani in mano. Sa che questa rappresenta un’opportunità troppo grande per non coglierla fino in fondo.

E così insieme agli altri Bengalesi, alloggiati all’interno della struttura dei Camilliani a Imperia, anche Rajual inganna il tempo confezionando vestiti, mostrando tra l’altro una certa abilità artigiana (sia chiaro che durante il periodo di permanenza nelle strutture d’accoglienza i migranti non possono lavorare, solo volontariato o lavori di pubblica utilità). Vorrebbero poter utilizzare una macchina da cucire professionale come quelle che avevano a disposizione in Bangladesh (nelle fabbriche dei grandi marchi occidentali trapiantati in Asia per abbattere i costi di produzione).

Ma le risorse qui sono poche, 30 euro al giorno per ospite è la cifra destinata all’ente che si occupa dell’accoglienza (in Liguria solo enti del terzo settore). Intanto bisogna provvedere ad una sistemazione dignitosa, cibo, vestiti, utenze e solo 2.50 euro di quei 30 sono lasciati ai singoli per le spese personali (soprattutto ricariche telefoniche).

“Sono ragazzi che non hanno alcuna scolarizzazione – racconta Natalia, volontaria a Imperia, che dall’Uruguay, suo paese d’origine, è approdata in Italia dopo aver vissuto diverso tempo in India e, per l’appunto, in BangladeshSolo un ragazzo del Gambia conosce bene il francese. Faceva l’insegnante. Con gli altri di origine africana è molto difficile comunicare. Qui tutti hanno alle spalle una storia di estrema povertà. Scappati da contesti di guerra, territori dilaniati da conflitti civili e religiosi o anche solo Paesi dove non c’è spazio sufficiente dove poter vivere. Qui invece hanno trovato una dimensione umana e di rispetto, ognuno fa il suo: c’è chi fa vestiti e chi cucina. E nonostante i km che separano l’Africa dal Bangladesh, nessuno si lamenta dei pasti”.

Spesso la convivenza improvvisa tra sconosciuti genera paure. In alcuni centri abitativi dove sono allocate le strutture che ospitano i migranti, in taluni casi paesi molto piccoli e con pochi abitanti, si sono sollevati malumori. A tal proposito il Presidente dell’Ancora, Marco Boeri rassicura:Monitoreremo i ragazzi di modo che non arrechino disturbo alla popolazione. Certo è che la segregazione può solo peggiorare le cose. Meglio inserire i migranti in un contesto più ampio, accompagnarli verso una coesistenza con la comunità ospitante. Per questo, dove possiamo, cerchiamo di attivare corsi di italiano o di promuovere momenti di integrazione. A Vallecrosia presto sarà organizzata una partita di calcio tra i migranti e i ragazzi del Don Bosco”.

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