28 Marzo 2024 16:05

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28 Marzo 2024 16:05

IMPERIA. BILANCIO. GROSSO (IBC) ALL’ATTACCO:”MI RIBELLO ALLE SCELTE PRECONFEZIONATE DALLA BUROCRAZIA, VOGLIO UNA CITTÀ…”/ I DETTAGLI

In breve: Io credo che la politica debba riprendersi gli spazi che ha perduto, debba riconquistare l’autonomia che le compete, e lo può fare solo cambiando le regole del gioco, riacquisendo spazi di democrazia partecipativa...

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Il capogruppo di “Imperia Bene Comune” in consiglio comunale Gianfranco Grosso interviene in merito alla recente approvazione, da parte della maggioranza, del bilancio di previsione 2017. 

“Terminato il Consiglio Comunale, approvato il bilancio, a bocce ferme e a mente fredda vorrei fare alcune riflessioni di natura squisitamente politica, dal momento che i tempi della discussione in consiglio sono assolutamente insufficienti ad esprimere un benché minimo concetto.

E’ il secondo anno consecutivo che l’Assessore al Bilancio del Comune di Imperia, Fabrizio Risso, apre la sua relazione affermando che “chiunque fosse al suo posto incontrerebbe le stesse identiche problematiche e non potrebbe fare diversamente da lui, in quanto gli Enti locali sono stati oggetto di una politica estremamente restrittiva e penalizzante da parte dei governi degli ultimi dieci anni”. Bene ne prendiamo atto. Questo significa che per l’Assessore al Bilancio del PD votare il suo partito, Forza Italia o la Lega è esattamente la stessa cosa. Significa che la politica ha abdicato al tecnicismo o che forse fa comodo dire così!

Effettivamente in questi quattro anni di consiglio comunale non ho mai sentito affermare dalla maggioranza che le proposte di Imperia Bene Comune fossero inadeguate o politicamente inaccettabili, ma solo e sempre tecnicamente improcedibili! Dietro il voto contrario c’era come motivazione il parere contrario di un burocrate. Dunque la politica non ha più senso? Le scelte di governo di un territorio sono ormai tutte indistintamente preconfezionate dalla burocrazia o dalla carenza di fondi? E allora mi domando se ha senso presentarsi alle elezioni, se ha senso militare in un partito, difenderlo, promuoverlo, se ha senso candidarsi a guidare una città che potrebbe tranquillamente essere amministrata da un Commissario Prefettizio. 

Ecco, proprio questa rappresentazione distorta dell’amministrare e del governare ritengo sia l’attuale cancro del nostro Stato, il voler appiattire le scelte politiche sull’altare della tecnocrazia: i bilanci devono pareggiare per norma costituzionale. Le spese devono rientrare in un range preconfezionato dai principi inderogabili delle normative statali ed europee. Gli investimenti devono sottostare a rigidi parametri di spesa rappresentati in una formula. 

In questo modo una classe politica nazionale ed europea che non vuole cambiare, che non ha né idee né coraggio per modificare la realtà, che ha interesse a lasciare le cose intonse e la società  blindata con tutte le sue ingiustizie, ha un alibi enorme, un paravento maestoso dietro il quale celare la propria incapacità o il proprio conformismo.

In questo modo la percezione dei cittadini è che la politica, il confronto, il dibattito, la partecipazione, siano inutili, una perdita di tempo, l’arte del disquisire senza costrutto. Lo stesso fastidio percepito ed evidenziato in questi ultimi quindici anni in consiglio comunale da parte delle varie maggioranze nell’ascoltare e nell’affrontare dibattiti con le opposte minoranze ha svilito il ruolo del parlamentino cittadino. Per questo motivo l’antipolitica avanza, incalza, strumentalizzata da chi senza idee e senza ideali ha l’occasione di banalizzare i concetti, esprimendoli in maniera semplicistica per infervorare animi ormai frustrati da un malessere insopportabile: la sensazione concreta di non contare più nulla, di essere soggetti passivi di una realtà immodificabile.

A tutto questo io mi ribello. Mi ribello al pensiero che su un bilancio non si possa porre un marchio politico ben preciso, che non si possano fare comunque scelte di governo e scelte politiche differenti. Mi ribello a che una città non possa sentirsi diversamente amministrata, diversamente partecipata, diversamente ascoltata! Non credo che la vicenda Agnesi dovesse e potesse necessariamente concludersi così. Non credo che le questioni acqua pubblica e rifiuti non avessero altre procedure o metodologie di approccio possibile.

Non credo che un’amministrazione più attenta e sensibile ai disagi e alla povertà avrebbe ridotto di un ulteriore terzo i già miseri fondi per i servizi sociali destinati alla sopravvivenza di centinaia di persone bisognose.

Ritengo invece che la gente abbia bisogno di sentirsi di nuovo parte attiva di un qualcosa, di un nuovo modo di convivere, di rapportarsi con i beni comuni, con il proprio patrimonio culturale e civico. Lo dimostra la questione biblioteca, lo sconforto ma anche l’iniziativa di tanti cittadini e associazioni. Lo dimostra la vicenda di via Cascione come l’insorgenza di tanti comitati cittadini in risposta proprio all’incapacità amministrativa e politica di essere ascoltati.

Io credo che la politica debba riprendersi gli spazi che ha perduto, debba riconquistare l’autonomia che le compete, e lo può fare solo cambiando le regole del gioco, riacquisendo spazi di democrazia partecipativa, nelle strade, nei rioni, nelle piazze, nei consigli comunali, in parlamento, in tutti quei luoghi in cui deve essere aperto e libero il confronto e l’iniziativa popolare, dove è giusto ed è sacrosanto mettere in discussione tutto quel tecnicismo e quella burocrazia finalizzata più a salvaguardare se stessa che i bisogni della nostra società”. 

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