19 Marzo 2024 07:15

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19 Marzo 2024 07:15

MIGRANTI. ECCO PERCHÈ IL TRIBUNALE DI IMPERIA HA ASSOLTO IL PASSEUR FELIX CROFT:”HA RITENUTO IL SUO SOCCORSO L’UNICO POSSIBILE”/LE MOTIVAZIONI

In breve: È una sentenza storica quella pronunciata il 27 aprile scorso dal Tribunale di Imperia (collegio giudicante composto da Russo, Achero e Lungaro).

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È una sentenza storica quella pronunciata il 27 aprile scorso dal Tribunale di Imperia (collegio giudicante composto da Russo, Achero e Lungaro). 

Felix Croft, 28enne no border francese (difeso dagli avvocati Ersilia Ferrante e Laura Martinelli), arrestato dai carabinieri di Ventimiglia il 22 luglio 2016, mentre con la sua auto tentava di portare in Francia una famiglia di migranti sudanesi, è stato assolto dall’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina perché “il fatto non costituisce reato”.

Una sentenza che ha ribaltato la richiesta di condanna formulata dal Procuratore Capo Pradella (3 anni e 4 mesi di carcere e 50 mila euro di multa).

Oggi, dopo 90 giorni, sono stare rese note le motivazioni della sentenza.

Alla base dei motivi che hanno spinto i giudici ad assolvere Croft c’è la mancanza di informazioni sui 5 migranti che il 28enne tentò di portare in Francia, in quanto mai identificati.

 “L’assenza di un’effettiva identificazione dei profughi  – scrivono i giudici – pone questo Collegio nella valutazione della condotta nella stessa prospettiva dell’imputato”.

I giudici, quindi, non hanno fare altro che basare il proprio giudizio sulla versione di Croft, definita “credibile, in ragione dell’atteggiamento tenuto e delle circostanze narrate, per quanto possibile, alla luce delle evidenze istruttorie offerte dalle parti, hanno trovato un riscontro”.

Croft in aula, nel corso del dibattimento, ha raccontato ai giudici la storia della famiglia di migranti (composta dai genitori, la madre incinta al sesto mese, lo zio e due minori, e proveniente dal Sudan, in particolare dal Darfur, una zona nota per i recenti conflitti), spiegando di aver giudicato la situazione talmente critica da rendere inevitabile il tentativo di portare i 5 migranti a casa sua in Francia per aiutarli. 

“Provenivano da un villaggio del Darfur e scapparono dal paese dopo che ad loro villaggio fu attaccato e incendiato si legge nelle motivazioni – Croft continuò ad ascoltarli, sempre rinnovando il suo rifiuto di trasportarli in Francia. Proseguirono così il racconto, dicendogli che non avevano più soldi. La donna disse di essere incinta (essendo musulmana vetiva con abiti ampi, egli non lo aveva notato fino a quel momento). Dopo di ché gli venne mostrato il fianco destro del figlio più grande (di circa cinque anni) che dalle ascelle fino al bacino appariva completamente ustionato (egli sapeva che per motivi politici molti migranti rifiutavano di avere cure). Le bruciature – come ha precisato Croft – furono per lui la conferma che la storia che gli era stata narrata corrispondeva a quanto realmente era stato vissuto da quella famiglia. In quel momento si trovavano ospiti in un centro di accoglienza non governativo che avrebbero dovuto lasciare. Cosi decise di aiutare queste persone ed in dieci minuti, massimo un quarto d’ora, la famiglia raccolse i propri effetti personali”.

I giudici hanno giudicato la condotta di Croft come un’azione finalizzata a un “aiuto umanitario” (“un intervento di solidarietà finalizzato a garantire la salvaguardia dei principi sanciti dalla Dichiarazione dei Diritti Umani”), sebbene la valutazione alla base fosse errata. Croft ha infatti agito ritenendo che la famiglia fosse in grave pericolo, giudicando erroneamente la loro condizione. Il 28enne ignorava che l’ordinamento italiano prevede aiuti umanitari in casi come quello in esame, e ha quindi pensato che l’unico modo per aiutare i migranti fosse portarli in Francia.

“L’imputato ha agito ritenendo che i soggetti fossero bisognosi di assistenza sia per le condizioni fisiche in cui si trovavano sia per il fatto che stava per venir meno l’aiuto umanitario fino a quel momento prestato. L‘erroneità della valutazione discende proprio dal fano di aver ritenuto il suo soccorso come l’unico possibilesi legge nel dispositivo.

In merito agli aiuti umanitari previsti in Italia, di cui Croft non era a conoscenza, i giudici scrivono: “la sua erronea supposizione da parte di Croft appare certamente scusabile alla luce di una valutazione ex ante dei fatti. Secondo quanto riferito a Croft dai sudanesi, in quel momento per loro erano venuti meno proprio gli aiuti umanitari poiché dovevano abbandonare il centro di accoglienza. La famiglia, peraltro, non era ospite di una struttura governativa che le avrebbe garantito i mezzi per accedere a forme di protezione e sarebbe rimasta a Ventimiglia senza possibilità di essere nutrita.

Croft comprende che quanto raccontato era vero alla vista delle ustioni riportate dal minore, ciò lo ha indotto a credere, nello stato di concitazione del momento, che effettivamente la famiglia avrebbe avuto bisogno di ospitalità ovvero cibo, acqua ed un posto dove dormire e decide di portarli a casa sua pur sapendo che erano clandestini, ma ritenendo che la sua azione, in quel frangente, rappresentasse un soccorso per quei migranti.

Va quindi ravvisata nella condotta di Croft la scriminante putativa di cui all’art. 12 c. 2 D.I.vo 289/98 e, in ossequio, ai principi ormai consolidati dalla Suprema Corte in materia di scriminanti (cfr. Sez. U, Sentenza n. 40049 del 29/05/2008 Ced 240814), l‘imputato deve essere mandato assolto ex art. 530 c. 2 c.p.p. perché il fatto non costituisce reato.

La formula dubitativa, ad avviso di questo Collegio, si impone in ragione del quadro probatorio che non consente di ritenere, in via assoluta, certa la prova della veridicità delle dichiarazioni rilasciate dai sudanesi”.

Per questi motivi, il collegio ha deciso per l’assoluzione.

 

 

 

 

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