25 Aprile 2024 09:22

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25 Aprile 2024 09:22

IMPERIA. FERRAGOSTO IN SILENZIO. CRONACA DI UN DISASTRO ANNUNCIATO. IL TURISMO NON SI FA CON I PORTI, MA CON UN SORRISO IN PIU’ E QUALCHE MUGUGNO DI MENO/L’EDITORIALE

In breve: Gli amministratori e i politici che hanno governato Imperia non hanno saputo dare un'impronta turistica alla città, trasformandola piuttosto in un ibrido senza identità. Che siano almeno gli imperiesi, a partire da oggi, a...

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Immaginate un gruppo di ragazzi,  nel weekend di Ferragosto, in piazza Dante, intento a decidere la location della serata. “Andiamo alla Capanne? No, chiuso. Ferrocarrill? No, chiuso. Baia Zen? No, chiuso. Nova? No, chiuso. Allora Oneglia, Koko Beach? No, chiuso. Il Chiosco da Miranda? No, chiuso. Il Chiosco La Rabina? No, chiuso. Il Chiosco U Tecciu de Ma? No, chiuso. Ok, andiamo ad Alassio“.

Purtroppo non è fantascienza, ma la triste realtà di una città, Imperia, caduta rovinosamente in disgrazia. Inutile discutere nel merito le motivazioni che hanno portato alla chiusura dei locali. E’ vero, in alcuni casi le istituzioni hanno usato il pugno di ferro e poco buon senso, ma è altrettanto vero che negli ultimi 40 anni la città, in tutte le sue componenti, ha gestito l’illegalità con superficialità, trascinando sino ai giorni nostri problemi che ad oggi risultano difficilmente rivolvibili se non con provvedimenti drastici.

Al di là delle questioni di natura giudiziaria e amministrativa, all’origine del declino di Imperia c’è la volontà di trasformare il capoluogo ponentino in una città turistica, quando di turistico, Imperia, ha ben poco. O meglio, gli imperiesi hanno ben poco. Perché al di là delle dichiarazioni di facciata, l’imperiese medio vuole sì musica dal vivo e locali stracolmi di turisti, ma lontano da casa propria. Perché “qui c’è chi vuole dormire” e “al mattino mi alzo per andare a lavorare”. Perché l’imperiese medio sorride al primo concerto dal vivo, al secondo, magari anche al terzo, ma al quarto inizia a raccogliere le firme, poi contatta un avvocato e presenta un esposto in Comune. Perché l’imperiese medio tratta il turista come un ospite quasi inatteso. Una fastidiosa presenza nei mesi più caldi dell’anno. Perché l’imperiese medio chiude il negozio alla domenica e la cucina del proprio ristorante alle 14 o alle 22 e poi si lamenta che “a Imperia non c’è nulla da fare”.

Imperia ha costruito le sue fortune sul porto commerciale e sulle fabbriche, dalla Carli all’Agnesi, dalla Sasso alla Borelli. Una città di lavoratori che, al weekend, chiedevano pace e tranquillità. Per trasformarne l’identità Imperia andava prima “educata” al cambiamento. E invece no. Di punto in bianco un porto turistico da 1.400 posti barca. Un progetto senza ne capo ne coda, una struttura gigantesca che si aveva la presunzione di inserire nel contesto di una città dove se indossi un cappello triangolare invece che rotondo diventi l’oggetto principale delle conversazioni al bar e in autobus. Una città dove, al grido ‘lo sport porta turismo’, si sono spesi milioni di euro (accendendo mutui che oggi mettono in ginocchio le casse comunali) per costruire un palazzetto dello sport senza sapere come riempirlo, visto che non esistevano allora e non esistono tuttora, società di pallavolo o di basket, giusto per fare un esempio, che militino in categorie di respiro nazionale. Il risultato è che, per le casse delle società locali, che vivono solo grazie all’impegno dei volontari, il costo dell’affitto è risultato spesso insostenibile. Una città dove si sono spesi milioni di euro per ristrutturare il campo di atletica, senza però progettare o solo immaginare una crescita futura dell’atletica locale, ma anzi, tagliando via via le sovvenzioni alla Maurina, società anch’essa operativa solo grazie agli sforzi e alla passione dei suoi tesserati e del presidente Quaglia.

Una città dove si sono spesi milioni di euro per trasformare il Parasio in una grande isola pedonale, per poi accorgersi che senza attività commerciali il quartiere più suggestivo della città sarebbe diventato un enorme parcheggio per i turisti delle seconde case.

Ma la colpa non è soltanto di chi ha amministrato la città sino ad oggi, ma anche degli imperiesi che troppo spesso hanno guardato con distacco le manovre orchestrate dai “piani alti” per trasformare la città. Senza dire una parola, senza alzare un dito. Lamentarsi, ora, dopo aver osservato da spettatori disinteressati, è quantomeno inutile, per non dire ipocrita. Occore una presa di coscienza da parte di tutti gli attori di questa piece teatrale che assomiglia sempre più a una tragedia, per fortuna con un finale ancora tutto da scrivere.  Gli errori fanno ormai parte del passato, ma occorre prenderne coscienza per poter poi risalire la china, remando tutti nella stessa direzione. Gli amministratori e i politici che hanno governato Imperia non hanno saputo dare un’impronta turistica alla città (ad esempio progettando un piano del rumore o elaborando un piano dei lidi), trasformandola piuttosto in un ibrido senza identità. Che siano almeno gli imperiesi, a partire da oggi, dal punto più basso toccato negli ultimi anni, con un Ferragosto in silenzio, a dare una svolta turistica alla città.

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