26 Aprile 2024 18:12

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26 Aprile 2024 18:12

Imperia: morte del piccolo Gabriel, concessa la semilibertà a Elizabete Petersone. “Ora la richiesta di affidamento in prova”/ i dettagli

In breve: L'ex compagno, Paolo Arrigo è tornato a vivere scampoli di vita quotidiana con permessi ordinari. I due stanno scontando 16 anni di carcere per la morte, nel 2009 a Imperia, del piccolo Gabriel

Il Tribunale di Sorveglianza ha concesso la semilibertà a Elizabete Petersone, 29 anni, condannata, assieme al suo ex compagno Paolo Arrigo, 33 anni, a 16 anni di carcere (pena confermata dalla Cassazione nel novembre 2012)  in quanto ritenuti responsabili della morte del piccolo Gabriel (figlio solo della Petersone, ndr), avvenuta nel maggio del 2009 a Imperia. 

I due sono detenuti in carcere rispettivamente a Bologna e Sanremo. La Petersone, grazie al regime di semilibertà, torna in “libertà” durante il giorno per poi fare ritorno in carcere, dove passa la notte e dove rimane fino alle 8 del mattino. Arrigo, invece, per effetto dei permessi, ordinari, è tornato a vivere scampoli di vita quotidiana, con ritorni a casa, in famiglia, e qualche passeggiata all’aria aperta.

Morte del piccolo Gabriel: concessa la semilibertà a Elizabete Petersone

Elizabete Petersone e Paolo Arrigo (suo compagno all’epoca dei fatti), lo ricordiamo, sono stati condannati a 16 anni di carcere, con verdetto confermato in Cassazione nel 2012, per la morte, a soli 17 mesi, del piccolo Gabriel, figlio della Petersone. L’accusa, per entrambi, è di maltrattamenti continuati e aggravati dalla morte.

Nel dettaglio, la Petersone, detenuta presso il carcere di Bologna, è in semilibertà da circa un anno, come conferma a ImperiaPost il suo legale, Savino Lupo.

“Dopo i permessi premio e i permessi ordinari, ha ottenuto la semilibertà – spiega il legale – Durante il giorno, dalle 8 alle 20, è libera, lavora in un’azienda, mentre alla sera fa ritorno in carcere, dove resta dalle 20 alle 8. 

Vorrei precisare che il regime di semilibertà viene concesso dal giudice di sorveglianza solo dopo il via libera da parte di un’equipe, composta da professionisti di primo livello, al termine di un’osservazione durata diversi anni. Elizabeth si è guadagnata questa fiducia, comportandosi ottimamente all’interno del penitenziario e dimostrandosi pronta per il ritorno in società.

Per questo motivo – conclude il legale – ci siamo sentiti pronti per chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali. Piccoli passi verso la libertà”.

Paolo Arrigo, invece, sta usufruendo di alcuni permessi ordinari che gli consentono di trascorrere alcune ore fuori dal carcere di Sanremo, in Valle Armea, durante il giorno, impegnato in attività socialmente utili.

Nei giorni scorsi, Arrigo, si è concesso anche un primo ritorno alla quotidianità con una breve passeggiata nel centro di Oneglia. “No comment” da parte dei famigliari che nel corso degli anni hanno continuato a battersi per dimostrare l’innocenza del giovane imperiese. 

La morte dei piccolo Gabriel

Gabriel morì il 14 maggio del 2009 a soli 17 mesi. Elizabeth Petersone chiamò il 118 riferendo che il suo bambino aveva difficoltà respiratorie. Gli operatori medici arrivarono tempestivamente, ma il piccolo morì prima di giungere in ospedale.

L’autopsia accertò lo spappolamento del fegato (a causa di un calcio) e gravi lesioni alla milza, cui seguì uno choc emorragico che gli causò un arresto cardiocircolatorio.

Nei giorni precedenti alla morte, Gabriel venne accompagnato all’ospedale di Imperia con una frattura al braccio, ma all’epoca, i medici credettero alle parole della mamma che giustificavano la frattura con una caduta dal lettino. Anche per quanto riguardava i lividi sul corpo, la madre fornì una spiegazione: leucemia fulminate che aveva già colpito la nonna materna e per la quale il bambino era già stato visitato dai medici dell’Ospedale Gaslini di Genova.

Solo successivamente alla morte vennero accertati i maltrattamenti.

Il processo

Paolo Arrigo e Elizabete Petersone, compagni all’epoca dei fatti (vivevano in via Costamagna), vennero condannati in primo grado, con la formula del rito abbreviato, a 11 anni di carcere, pena aumentata a 16 anni in Appello e confermata poi in Cassazione, con l’accusa di maltrattamenti continuati e aggravati dalla morte. 

Entrambi hanno sempre negato ogni responsabilità, spesso accusandosi reciprocamente per la morte del bambino. 

 

 

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