28 Marzo 2024 22:55

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28 Marzo 2024 22:55

Imperia: giorno della memoria, l’associazione “Michele de Tommaso” ricorda le vittime dell’Olocausto. “Viviamo un nuovo razzismo in forme più subdole e mascherate”

In breve: Così, in una nota stampa, l'associazione culturale imperiese "Michele de Tommaso", per ricordare le vittime dell'Olocausto

11.000.000 di assassinati dai nazisti e dai fascisti: di cui circa 6.000.000 ebrei, 500.000 omosessuali, “500.000 rom e sinti, imprecisati numeri di apolidi, prigionieri politici, “asociali”, disabili e popoli considerati “inferiori” dalla cerchia hitleriana e dal regime nazista. 54.000.000 morti nella Seconda Guerra mondiale. 40.000 morti italiani deportati dai nazisti nei campi di sterminio – Così, in una nota stampa, l’associazione culturale imperiese “Michele de Tommaso”, per ricordare le vittime dell’Olocausto.

Giornata della Memoria: l’associazione Michele de Tommaso ricorda le vittime dell’Olocausto

Il 27 gennaio con la Giornata della Memoria viene ricordata una sconfitta: la sconfitta del diritto, della moralità, della giustizia, del senso di umanità, una tragedia che ha fatto dire ad Hans Jonas, uno dei più grandi studiosi di etica del Ventesimo secolo, che l’orrore Auschwitz pone in discussione la stessa idea dell’onnipotenza di Dio. Una ferita squassante, non soltanto per i milioni di morti nelle guerre provocate dallo Stato nazista, dallo Stato fascista e dai loro alleati, ma per le leggi che sono state imposte al fine di discriminare, perseguitare e infine uccidere individui non degni di vivere perché considerati di razza inferiore.

Non per la prima volta, ma mai in maniera così sistematica, totale e pervasiva il razzismo diventava legge dello Stato, alimentato da teorie che fornivano una base pseudoscientifica alle Leggi di Norimberga della Germania nazista (1935) e alle Leggi per la difesa della razza dell’Italia fascista (1938)

Il nazifascismo ha perso la guerra, provocando catastrofi immani, e le lotte di liberazione e gli sforzi dei popoli nel ricostruire società più giuste, sembravano aver spazzato via del tutto anche il ciarpame di quella ideologia perversa entro la quale veniva deciso chi era un essere umano e chi non lo era.

Ma non è così. In Italia e in altri paesi europei sta diventando dominante una sempre più accanita cultura dell’esclusione che, in generale, deriva da un insieme di cause, economiche, politiche, culturali, psicologiche: distruzione dello stato sociale e della democrazia economica, abbattimento dei diritti collettivi, flussi migratori internazionali, in grandissima misura conseguenza di politiche di depredazione e immiserimento del Sud del mondo e delle logiche di guerra di cui l’Occidente continua ad essere artefice o provocatore, insicurezza delle opportunità di lavoro e del futuro, disgregazione del tessuto sociale, (la “società liquida” che ci ha fatto vedere Z. Bauman), un capitalismo globale agito da centri di potere finanziario lontani e incontrollabili.

In questa situazione si genera un caos di disorientamento e di paura dove pescano a piene mani, con cinismo strumentale, governi e forze politiche che artatamene amplificano la presenza dei migranti e la loro asserita pericolosità, scaricando su di essi la responsabilità di mali sociali che hanno ben altre origini e cause.

In contesti nei quali da decine di anni hanno potuto ricrescere movimenti politici che apertamente si ispirano alle ideologie del nazismo e del fascismo, si arriva ormai ad alzare muri e a mettere filo spinato, si impediscono brutalmente gli sbarchi, indifferenti non solo ai principi umanitari, ma anche al “diritto di ospitalità” sancito nell’art. 10 della nostra Costituzione e dalla Carta dei diritti universali dell’ ONU. Ma i diritti, proprio perché universali, non sono privilegi che possono essere elargiti ad alcuni e ad altri no.

Il “nuovo razzismo” si presenta con tratti diversi da quello biologico ormai screditato e improponibile per la sua inconsistenza scientifica. Di rado si usa apertamente la parola “razza”, preferendo una versione che appare più “neutra” e rassicurante dal punto di vista linguistico e ideologico, e quindi condivisibile anche da parte di chi si dice “non razzista”, ma vorrebbe che i migranti morissero in mare e i rom fossero spazzati via con le ruspe. Si usano parole come identità, identitarismo, comunità, tradizione e tradizionalismo, etnia, sovranismo.

Ma la sostanza non cambia. L’antisemitismo c’è sempre ma oggi, anche per questioni di relazioni internazionale, rimane sottotraccia, non è opportuno esibirlo, anche se ogni tanto non si riesce a trattenerlo (come nel caso del senatore Lannuti che ha riscoperto i Protocolli dei Savi di Sion).

Resiste anche la discriminazione nei confronti degli omosessuali, dei rom, dei negri, ma il vero obiettivo, il vero nemico sono i migranti (che magari tutti neri non sono).

E’’ sufficiente guardarsi intorno, leggere i commenti che circolano in rete, dove i migranti sono considerati criminali, forse terroristi, portatori di malattie, violentatori e ladri, clandestini che rubano il lavoro ecc. Per tragica ironia sono le stesse accuse che venivano rivolte agli emigranti italiani del primo Novecento.

“Non c’è stereotipo rinfacciato ai migranti di oggi che non sia stato rinfacciato agli immigrati italiani un secolo fa”, ha ricordato G.A. Stella: “Dagli Stati Uniti alla Francia alla civilissima Svizzera eravamo percepiti e rappresentati come la feccia del pianeta, dietro gli spagnoli, gli irlandesi e spesso anche dietro i cinesi”.

La contrapposizione tra Noi e gli Altri trova nei migranti un nemico pubblico ideale per ogni tipo di rivendicazione di Identità, nazionale, locale o settoriale. Per il patriottismo urbano di quartiere sono criminali che minacciano la sicurezza della vita quotidiana. Per il patriottismo regionale, stranieri che intorbidano la purezza etnica. Per quello nazionale, stranieri che minano la compattezza della società.

Si crea una sorta di corto circuito tra il potere e i cittadini: questi manifestano ostilità e odio verso gli “Altri”, quello giustifica e rafforza questi stati d’animo, emanando “decreti sicurezza”, la difesa del territorio dalle “invasioni”, la salvaguardia dei “valori” identitari, siano essi religiosi o di usi e costumi, dalla contaminazione con altre culture. La cultura identitaria come foglia di fico del razzismo. .

Il fatto più preoccupante di questo clima è che esso viene sempre più percepito come un sentire comune, come ”normale”, una normalità che è ad un passo da quella “banalità del male” di cui ha parlato Hanna Arendt, consistente, per incapacità di pensare e di riflettere, nell’accettare incondizionatamente l’immagine della realtà che i poteri sovranisti di oggi – questi poteri xenofobi, razzisti, identitari – trasmettono all’opinione pubblica e quindi agiscono di conseguenza.

Dovremmo, allora, vivere il Giorno della Memoria non soltanto come una commemorazione, ma come una riflessione collettiva, affinché la ritualità non rischi di offuscare la coscienza del presente e non ci si riduca, soprattutto nelle occasioni più istituzionali a dire “questo non accada più”, ma perché ci renda consapevoli che “questo” di nuovo “accade già ora”, in forme certamente diverse dal passato, più subdole e mascherate.

Dovremmo soprattutto, nel Giorno della memoria, ricordare a tutti noi che è necessario, oggi più che mai, tenere ben desta la nostra attenzione, acuire la nostra vista offuscata, risvegliare le nostre coscienze intorpidite e la nostra ragione assonnata, guardare al mondo in cui viviamo sapendo riconoscere ogni fascismo, ogni nazismo moderno e attuale sotto qualunque forma si ripresenti o cominci ad allignare, e in qualunque contesto: dall’Italia all’Europa, dagli Stati Uniti al Brasile, in tutti i continenti.

Conoscere “il presente come storia”. Solo così, si potrà – le giovani generazioni potranno – acquisire la capacità di una memoria viva e vigile, necessaria a costruire nel presente un avvenire diverso e migliore, quella memoria che il grande psicoanalista e umanista Wilfred Bion ha chiamato la “memoria del futuro”.

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