29 Marzo 2024 00:32

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29 Marzo 2024 00:32

OSSERVATORIO CRIMINALITÀ ORGANIZZATA: “IMPERIA TRA LE 4 PROVINCE DEL NORD CON IL PIÙ ALTO INDICE DI PRESENZA MAFIOSA”

In breve: Report shock in Parlamento di Fernando Dalla Chiesa, Direttore dell'Osservatorio sulla criminalità organizzata dell'Università degli Studi di Milano: "Eppure le autorità di Imperia hanno smentito a lungo la presenza delle organizzazioni mafiose nella provincia"

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Come si può vedere, quattro province hanno il massimo indice di presenza mafiosa: quelle di Milano, di Monza e Brianza, di Torino e di Imperia. Sono sicuramente quelle che presentano una pericolosità maggiore […] eppure le autorità di Imperia hanno smentito a lungo la presenza delle organizzazioni mafiose nella provincia “.
Questa la risultanza shock dello studio svolto dal professor Dalla Chiesa, insieme ai ricercatori universitari dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università degli Studi di Milano, nell’ambito di un incarico della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, relativo a un’analisi sulle principali dinamiche di azione della criminalità organizzata e della loro evoluzione nel contesto sociale ed economico nelle regioni del nord Italia.
L’audizione di Fernando Dalla Chiesa, con le risultanze dello studio, si è tenuta lo scorso 6 maggio di fronte alla Commissione Parlamentare presieduta da Rosy Bindi.

UNO STRALCIO DELL’AUDIZIONE DI FERNANDO DALLA CHIESA

“Con me hanno lavorato quattro ricercatori, e la dottoressa Meli, che ha coordinato più da vicino questo lavoro, presenterà un focus su un aspetto particolarmente interessante. La ricerca si muove su un piano di ricognizione della presenza delle organizzazioni mafiose e delle dinamiche in atto, quindi abbiamo lavorato soprattutto sugli anni 2009-2013, cercando di connettere le informazioni concernenti questo quinquennio con la storia delle organizzazioni mafiose svoltasi nei decenni precedenti. La dimensione storica ci è sembrata importante per cogliere le dinamiche e fare alcune, moderate previsioni.
Il lavoro più importante si condensa in una mappa molto discutibile, che riguarda gli indici di presenza mafiosa nelle regioni del nord. Poiché la relazione supera le 200 pagine, qui presenteremo una selezione dei temi, dei filoni o dei punti di arrivo della ricerca. Il dettaglio della singola regione o provincia potrà essere letto nella relazione.
  Innanzitutto il metodo. Noi abbiamo cercato di lavorare su una serie di indicatori oggettivi, senza farci condizionare e vincolare da alcun indicatore in particolare. Diamo sempre conto degli omicidi ritenuti di mafia compiuti in una regione, del numero dei beni confiscati e del numero delle locali, però questi dati presentano dei problemi dal punto di vista metodologico.
  I beni confiscati sono ad esempio indicati in grandi aggregati indipendentemente dalla loro dimensione, per cui può essere il grande terreno o il grande immobile oppure il box per auto. Non solo: i beni confiscati esprimono una porzione della presenza delle organizzazioni criminali, ma spesso il loro numero dipende dal tipo di attività investigativa e repressiva che viene condotta dalle forze dell’ordine e dalla magistratura. Possiamo avere anche aspetti molto interessanti, cioè province con un’alta presenza mafiosa, ma una piccola quantità di beni confiscati.
  La relazione si muove con una certa autonomia rispetto ai dati giudiziari, perché ci sono province a nostro avviso sottostimate rispetto alla presenza mafiosa, in cui invece i dati a nostra disposizione evidenziano una presenza mafiosa rilevante. Questo si verifica ad esempio per le province di Brescia, di Pavia, di Modena e Reggio, di cui si è cominciato da poco a parlare di rilevante presenza mafiosa, ma che nella loro quotidianità hanno tutti gli elementi per indurre a ritenere che gli indici da attribuire siano elevati.
  Abbiamo preso in considerazione le operazioni giudiziarie indipendentemente dall’esito processuale. Un procedimento penale può infatti concludersi con un’assoluzione di un gruppo di imputati perché proceduralmente l’intercettazione telefonica non era utilizzabile, ma il ricercatore non può rimuovere il contenuto dell’intercettazione telefonica.
  Abbiamo tenuto conto: del fatto che le diverse direzioni distrettuali antimafia hanno dei dinamismi, delle capacità e un livello di efficacia differente; delle collusioni riscontrate tra amministrazioni locali o il livello politico e la criminalità organizzata; della penetrazione in alcune amministrazioni pubbliche come quelle sanitarie; di reati spia come l’incendio; di fenomeni spia come i Compro oro o la diffusione del gioco d’azzardo; abbiamo tenuto conto di tutto.
Naturalmente quando dico ‘tutto’ preciso immediatamente che la valutazione è stata soggettiva, quindi non c’è un indicatore che inchiodi il ricercatore o l’Osservatorio alla possibilità di stilare una classifica delle forme di presenza mafiosa.
Poiché fa parte della mia esperienza personale, ricordo che il procuratore generale di Milano nel 1992, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, affermò che a Milano non esistessero organizzazioni mafiose perché non si era ancora concluso alcun processo in Cassazione con una condanna per l’articolo n. 416-bis, ma nei due anni successivi vennero arrestati circa 2.000 appartenenti a organizzazioni mafiose. Se qualcuno allora avesse ragionato e lavorato con questo criterio, sarebbe arrivato a una conclusione diversa.
Il metodo, che fra l’altro è stato adottato nell’ultimo libro dal professor Sciarrone di Torino, consiste nel liberarsi dai condizionamenti troppo vincolanti di statistiche spesso inaffidabili e nel ragionare come le grandi agenzie di rating per la valutazione dello stato di un’economia di un Paese.
Abbiamo fatto la stessa cosa, non c’è un criterio con cui Standard & Poor’s possa giudicare l’economia italiana, non ci sono solo indicatori quantitativi che pure esistono, però c’è una valutazione complessiva del grado di penetrazione e di presenza delle organizzazioni mafiose.
Esiste ad esempio un modo di rubricare gli omicidi che non è convincente. L’omicidio può non essere considerato un omicidio di mafia, laddove l’imputato patteggiando o ricorrendo al rito abbreviato dichiari di avere ucciso per ragioni personali, evitando di esporre la propria organizzazione, e automaticamente quell’omicidio non rientra tra gli omicidi di mafia.
Con il Comitato Antimafia istituito dal sindaco Pisapia a Milano ho effettuato un’importante ricerca sugli incendi sviluppatisi a Milano e provincia nel 2011 e 2012, e, se avessi dovuto attenermi ai dati ufficiali, non sarei arrivato alle conclusioni cui siamo arrivati con la collaborazione dei vigili del fuoco, che hanno ristudiato incendio per incendio i dati in loro possesso. Non ci siamo quindi attenuti ai dati perché spesso questi non sono affidabili e ci sono ulteriori dati qualitativi da tenere in considerazione.
La mappa di cui ci assumiamo la responsabilità indica con l’indice 5 il livello di presenza mafiosa che si riscontra nelle differenti province del nord Italia. Noi abbiamo associato l’Emilia-Romagna, per una questione comprensibile di contiguità territoriale e anche di integrazione socio-economica, con la Lombardia e con il Veneto.
 Come si può vedere, quattro province hanno il massimo indice di presenza mafiosa: quelle di Milano, di Monza e Brianza, di Torino e di Imperia. Sono sicuramente quelle che presentano una pericolosità maggiore, che hanno una rilevanza in termini di locali di ’ndrangheta presenti. Parliamo della ’ndrangheta come organizzazione criminale largamente più presente nel settentrione, anche se abbiamo rilevato in particolare in Emilia-Romagna e nel nord est consistenti presenze di camorra e una diffusione molto minore di cosa nostra, pochissimo della sacra corona unita e quasi niente della stidda.
“.

LE CRITICHE ALLE AUTORITÀ IMPERIESI, COLPEVOLI DI AVER “SMENTITO A LUNGO LA PRESENZA DELLE ORGANIZZAZIONI MAFIOSE”

Per quanto riguarda il non volere ammettere, è la stessa ragione per cui si tende sempre a ridimensionare il problema da parte delle autorità. Dire che in una certa provincia c’è una forte presenza mafiosa significa assumersi degli impegni con le autorità a cui lo si comunica, dunque bisogna intervenire. Si ha anche il timore di sentirsi chiedere cosa si sia fatto, quindi credo che siano dei condizionamenti psicologici molto forti, per cui si consegna sempre un’immagine al ribasso rispetto a ciò che avviene effettivamente.
Sono convinto che quegli indici di presenza mafiosa che abbiamo proposto oggi saranno fortemente contestati almeno in due realtà, che infatti hanno fatto a gara nel moderare la presenza. Credo che sia paradigmatica la situazione di Imperia, a cui abbiamo dato 1 come anche Sciarrone nel suo libro, eppure le autorità di Imperia hanno smentito a lungo la presenza delle organizzazioni mafiose nella provincia e addirittura la magistratura ha negato l’esistenza dei presupposti per contestare il 416-bis agli imputati, nonostante importanti sequestri di patrimoni del clan dei Pellegrino. È uno dei problemi questo della tendenza delle autorità a non affrontare il problema e a non segnalarne la gravità.

CLICCA QUI PER LEGGERE IL RESOCONTO STENOGRAFICO DELL’INTERA AUDIZIONE

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