20 Aprile 2024 17:26

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20 Aprile 2024 17:26

Coronavirus, Imperia: la lotta al Covid-19 di Tamara e Serena. “I nostri due mesi sotto il tendone pre-Triage. Vista tanta sofferenza, ma anche tante belle emozioni” / Foto e video

In breve: L'esperienza dell'assistente sanitaria Tamara e della logopedista Serena sotto al tendone pre Triage di Imperia.

Hanno presidiato il tendone pre-Triage dell’Ospedale di Imperia per quasi due mesi, nel pieno dell‘emergenza Coronavirus. Erano le prime persone con cui coloro che dovevano accedere al Pronto Soccorso si confrontavano, insieme a tutte le paure, le incertezze e la tensione del momento. Sono state un vero e proprio punto di riferimento, una certezza per tutti coloro che avevano bisogno.

Stiamo parlando di Tamara Biondi, assistente sanitaria, e Serena Alberti, logopedista, che, da un momento all’altro, con abnegazione e grande forza d’animo, hanno abbandonato la loro routine lavorativa per dedicarsi a un ruolo completamente nuovo, portando il loro contributo nella lotta alla pandemia. 

A breve, grazie al calo della pressione sulle strutture ospedaliere, Tamara e Serena torneranno alle loro attività quotidiane (il tendone, in ogni caso, rimarrà aperto e gestito dal Pronto Soccorso). Un’occasione per tracciare un bilancio di questa dura esperienza, cercando di guardare al futuro con ottimismo.

Coronavirus, Imperia: la lotta al Covid-19 di Tamara e Serena sotto al tendone dell’Ospedale di Imperia

Tamara Biondi e Serena Alberti

Come vi sentite adesso che, almeno per il momento, il picco dell’emergenza sembra alle spalle?

“È stata una bellissima esperienza – ha affermato Tamara – Noi due ci alternavamo, lavorando al mattino e al pomeriggio. Anche altro personale ha effettuato alcuni turni, ma noi eravamo praticamente fisse. Abbiamo avuto tanta collaborazione dal personale del Pronto Soccorso per qualsiasi necessità. Il caposala che ci ha sempre fornito tutto il materiale e anche i suoi infermieri. 

Per ogni dubbio mi sono sempre rivolta al Triage per chiedere conferma su quello che ritenevo più opportuno fare su una persona sospetta e ho avuto piena collaborazione”.

“Facendo la logopedista – ha aggiunto Serena – questo è un lavoro totalmente diverso dal mio, però è stata una esperienza particolare. Stancante, più per la quantità di lavoro pratico, per le ore passate qua, che per l’approccio con la gente che non sta bene.

Adesso, grazie a Dio, c’è più lavoro perché ci sono più di pazienti che accedono in accessi ordinari, ma meno per Covid-19. Ne sono capitati pochi ultimamente, più per scrupolo che per altro“.

Come funziona nel dettaglio il pre-Triage?

“Le persone normalmente si fermano. Noi chiediamo il motivo dell’accesso, se hanno tosse, febbre. C’è chi ha avuto altri problemi, magari sono caduti o hanno un problema alla spalla. In quel caso si procede tranquillamente.

Le persone che invece arrivano che hanno avuto febbre da qualche giorno, tosse, mal di testa, le facciamo fermare un attimo, consultiamo sempre i colleghi del Triage e poi le facciamo entrare dall’altra parte.

Sono 5 i sintomi cardine a cui bisogna fare riferimento che sono tosse, febbre, mal di gola, difficoltà espiratoria e la stanchezza fisica. Sintomi influenzali generali.

Quando un paziente si presenta qua con uno di questi sintomi, anche se magari non è per Covid, ma il dubbio c’è, viene accompagnato all’ingresso dell’area calda, che è l’ingresso dell’ambulanza, o altrimenti viene inviato qui nell’accesso ordinario. Gli viene fornita anche la mascherina se non la ha.

Tendenzialmente abbiamo cercato di gestire l’afflusso durante l’emergenza, chiedendo alla gente di aspettare fuori per non riempire il Triage.

Nel periodo caldo gli accessi erano soprattutto tramite l’ambulanza e quindi non passavano di qua. L’accesso ordinario era per situazioni molto importanti. 

A piedi venivano spesso pazienti con sospetto Covid, che magari avevano chiamato e gli era stato detto di venire.

Adesso i casi di tutti i tipi, come prima dell’emergenza. Tanto di cappello al personale, che per un mese è stato l’unico pronto soccorso ordinario di tutta l’azienda. L’altra sera c’erano 6 codici rossi contemporaneamente.

Sono stati nei nostri confronti molto disponibili. Abbiamo trovato tanta collaborazione.

Non potevate sapere chi fosse positivo e chi no?

“No, dovevamo scindere tra un accesso ordinario per altre problematiche da chi avesse anche un sospetto di Covid.

Abbiamo avuto anche tanta gente che si è presentata qua con sintomi sospetti che poi si sono rilevati più ansie che sintomi. Preoccupati? Sì, c’è tanta gente che veniva a chiedere com’era la situazione, che aveva paura. Ancora adesso la paura c’è nelle persone.

Dal 4 di maggio, con il fatto che c’è stata un po’ più di riapertura, la gente ha iniziato a rilassarsi ed è tornata ad accedere più spesso al Pronto Soccorso. Ci sono stati momenti in cui ho visto passare ambulanze su ambulanze a portare pazienti a Sanremo. È stato faticoso moralmente”.

Ci sono stati dei moneti di sconforto?

“No, sconforto proprio no. Un po’ di tristezza più che altro per le persone che venivano con i parenti e non potendo accedere, ci chiedevano se potevano passare. Dovevamo dire di no, per forza e molti piangevano. Forse questa è stata la cosa più brutta. Il terrore del parente è quello di non rivedere più la persona cara.

Nessun parente di nessun malato ricoverato può entrare. C’è questa fatica.

Bisogna sottolineare, però, che tutte le persone sono sempre state gentili, ci hanno sempre sommerso di ringraziamenti”.

Qualche episodio che vi è rimasto nel cuore?

“Ricordo di una figlia con la mamma, che era già un paziente oncologico. È venuta per consegnare le buste e piangevano entrambe. Purtroppo poi non ce l’ha fatta.

Un’altra paziente è arrivata a piedi, mandata dal medico perchè era già in osservazione a casa, con un tampone positivo e aveva già iniziato a mostrare i sintomi, accompagnata dal marito. Ricordo che è arrivata con una serenità incredibile, già con la valigia pronta, dicendo “non respiro bene e mi ha detto di venire qua”. L’ho accompagnata nell’area calda. Mi ha fatto tenerezza.

Non so che percorso abbia fatto, la signora non stava malissimo”.

Avete dovuto anche cambiare abitudini personali?

“Io ho due bambini racconta Tamara – Tornando a casa mettevo tutto a lavare, dovevo stare attenta alla sanificazione, non solo qui ma anche a casa. Per fortuna stanno tutti bene”.

“Io vivo sola – spiega Serena – ma ho una mamma con dei problemi di cui mi occupo. Quindi esco di qua, sanifico tutto, mi lavo, indosso la mascherina e tengo le distanze.

I primi tempi ti viene da chiederti “chi me lo ha fatto fare?”. Poi sai che fa parte del tuo lavoro e passa la paura. Capisci come comportarti, quanto è paura e quanto è realmente rischio.

Con le protezioni e la correttezza, effettivamente, se hai tutte le attenzioni è difficile che tu possa contagiarti. Io ho rispettato tutte le procedure, tutte le regole, sia qui a lavoro che a casa e non ho avuto alcun problema”.

Adesso che i numeri stanno scendendo, cosa vi porterete di questa esperienza?

“Sicuramente il fatto che sia stato chiesto a tutti noi di cambiare radicalmente le nostre abitudini lavorative – racconta Serena – Facevamo un lavoro diverso e tutti hanno messo in campo la propria disponibilità a cambiare. Tutti hanno lavorato. Passeranno le paure, le ansie, la vita riprenderà”.

“Io ho imparato molto da tutto questo – prosegue Tamara – si sono stabiliti anche dei rapporti personali. Nella difficoltà del Coronavirus, è cambiato un po’ l’iter di vita e di pensiero.

Ognuno di noi è dovuto uscire dal suo schema mentale. Mi sono ritrovata a lavorare di mattina, di sera, di Pasquetta. È uno stravolgimento della vita. Sicuramente è stato un bel cambio, sicuramente anche dal punto di vista umano”.

Ora tutto è affidato al buon senso delle persone, per non ricadere nell’emergenza. C’è qualche messaggio che volete dare?

Con attenzione si può girare, con attenzione si possono avere dei rapporti. Con la mascherina, con le distanze, riusciamo a tornare ad avere contatti che abbiamo perso, senza rischiare nulla.

La mascherina va messa anche sul naso. Se tutti portassimo la mascherina per un po’ di tempo alla fine ce la toglieremo tutti. È impegnativo però è buon senso.

Ci vuole rispetto dell’altro. Non servono costose mascherine, basta una mascherina chirurgica, se la abbiamo tutti abbiamo risolto il problema”.

 

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