19 Aprile 2024 22:53

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19 Aprile 2024 22:53

Imperia: “Sentinelle in piedi” contro DDL su omotransfobia, la critica di Rifondazione Comunista. “Pregiudizi e stereotipi totalmente privi di fondatezza scientifica”

In breve: Queste le parole di Maria Sepe, del Partito della Rifondazione Comunista di Imperia, in riferimento alla veglia delle “sentinelle in piedi” e “pro vita & famiglia”

“Le questioni inerenti la sfera del sesso, della sessualità, del genere sono assai complesse e delicate nei contenuti e nella loro trattazione, tuttavia c’è una sorta di filo rosso che ne consente l’attraversamento senza perdere la lucidità, la serenità, la coerenza. Il filo rosso è rappresentato dalla politica dell’umanità ovvero l’impalcatura della strada tracciata dalla legge nella direzione del rispetto, dell’empatia e dell’immaginazione. Alla politica dell’umanità ancora oggi si oppone la politica del disgusto, quella stessa che fonda le discriminazioni giuridiche, sociali, gli atti di violenza, di maltrattamento e bullismo nei riguardi di persone che per i loro desideri sessuali, in una prospettiva patriarcale eteronormativa, sono classificate come “non conformi” o peggio “non normali”.

Queste le parole di Maria Sepe, del Partito della Rifondazione Comunista di Imperia, in riferimento alla veglia delle “sentinelle in piedi” e “pro vita & famiglia” svoltasi lo scorso 11 luglio in Piazza Nino Bixio di Oneglia “in difesa della libertà di espressione e contro il disegno di legge Zan-Scalfarotto-Boldrini contro la “omo-lesbo-bi-transfobia”, che sarà discusso alla Camera a fine luglio”.

Imperia: veglia “Sentinelle in piedi” contro legge su omotransfobia. Critica Rifondazione Comunista

“In alcune parti del mondo la politica del disgusto nei riguardi delle persone omosessuali si è tradotta in un sistema giuridico profondamente discriminatorio e violento che contempla la carcerazione, la pena di morte, la deportazione, le leggi antisodomia e l’interdizione al matrimonio. Cosa invece contempla la politica dell’umanità?

Il riconoscimento dell’altro, della sua soggettività, delle sue emozioni, delle sue percezioni.

Con orgoglio andiamo dicendo che l’Italia è uno stato democratico e in proposito mi preme sottolineare che lo Stato democratico, in quanto tale, deve garantire ai propri cittadini uguaglianza ed equità dove per uguaglianza si intende assenza di discriminazioni economiche, politiche, sessuali, sociali, per equità si intende equa distribuzione di benefici e responsabilità.

Ebbene sostengo che l’Italia non è uno Stato Democratico nella misura in cui, almeno per due ordini di ragioni, i cittadini e le cittadine che si riconoscono nell’acronimo lgbtqi++ non possono contrarre legame matrimoniale, sono, come riferiscono numerosi fatti di cronaca, aggrediti/e per la loro identità sessuale e/o di genere.

Non sono protetti da una legge che qualifichi l’omofobia come un reato nella misura in cui la stessa si traduce in atti discriminatori, talora gravemente lesivi della dignità e/o violenza. Il nostro Bel Paese vanta il triste primato di occupare una posizione arretrata nell’elenco degli stati sensibili e giuridicamente attenti ai diritti civili delle persone lgbtqi++. Mi preme sottolineare che in quella classifica siamo molto vicini a paesi come l’Arabia Saudita, Emirati Arabi, Nigeria, Sudan, Yemen dove l’omosessualità è punita con la pena di morte.

A sostegno della legittimità e dell’urgenza di una legge che riconosca il reato di omotransfobia possiamo citare le disposizioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità, delle principali associazioni di professionisti della Salute mentale, quelle contenute nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e nelle risoluzioni del Parlamento Europeo.

L’Onorevole Paola Concia nel 2009 presentò un testo di legge che inseriva come aggravanti di reato i fatti commessi “per finalità inerenti all’orientamento sessuale e alla discriminazione sessuale della persona offesa”. La proposta fu affossata con una pregiudiziale di incostituzionalità. Il punto di partenza di quel testo di legge fu, ieri come oggi, la legge Mancino del 25 giugno 1993 n.205, “misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa”.

Il cuore della legge Zan, prossima ad una discussione parlamentare, punta a inserire l’orientamento sessuale e l’identità di genere all’interno dell’attuale impianto giuridico in materia di reati e discorsi d’odio, allo scopo di estendere la normativa già esistente alla protezione della popolazione Lgbtqi++.

Le destre e la Cei hanno bollato la norma come deriva liberticida contribuendo a promuovere qua e là le veglie e le amenità de “il Popolo della famiglia”, “Le sentinelle in piedi”, “Prolife” che nelle loro performances propongono improbabili mescolanze di pregiudizi, stereotipi, simboli religiosi inscenando categorie di “secondo natura” e “contro natura” totalmente prive di fondatezza scientifica e producendo narrazioni false tendenziose e manipolatorie.

Sarà proprio grazie al Dl Zan che sostenere che un bambino deve avere un padre e una madre non potrà mai essere considerato un discorso di odio come vanno dicendo quelli del Popolo della famiglia.

Le espressioni “identità di genere”, “orientamento sessuale” scatenano i loro istinti primordiali. Tali espressioni non sono pura invenzione sono riconosciuti quali diritti fondamentali della persona dalle norme e dalla giurisprudenza internazionali cui anche il nostro Paese si è adeguato o intende adeguarsi. Ci sono persone la cui identità non corrisponde al dato biologico del sesso attribuito alla nascita. Qualora questi aspetti non fossero adeguatamente tutelati la norma risulterebbe mancante e discriminatoria delineando due categorie differenti di cittadini: quella di serie A che gode di tutti i diritti e quella di serie B discriminata. Si legga con attenzione l’articolo 3 della Costituzione:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Nell’usare la parola “sesso” la Carta intende riferirsi ad un aspetto assai rilevante della personalità e della socialità umana. L’articolo sopra citato mira a garantire il libero sviluppo della personalità e la pari dignità sociale delle sue manifestazioni, mira a riconoscere la libertà e la dignità di tutte le persone a prescindere da come esprimono la loro personalità nell’ambito della sessualità. Mira a garantire e legittimare la ricerca della felicità.

Non aggiungo altro tuttavia concludo riportando le parole di M. Nussbaum:

Rispettare i propri concittadini come uguali richiede, secondo una tradizione consolidata, vederli in quanto persone che compiono scelte e si pongono domande, e che hanno bisogno di un’ampia area di libertà intorno a sé, sia che usino quella libertà bene, sia che la usino male (nella misura in cui non calpestano i diritti degli altri). Molte persone percepiscono l’orientamento sessuale in modo analogo: come una caratteristica intimamente legata alla ricerca individuale di una vita dotata di senso, e quindi come qualcosa la cui limitazione o restrizione giuridica infligge un profondo danno psichico. L’uguale rispetto per tutti i cittadini, secondo molti, vieta di infliggere tale danno a coloro che cercano semplicemente di agire in base ai propri desideri senza violare i diritti degli altri.

Le situazioni di discriminazioni sopra descritte non sono riconosciute. Introdurre il reato di omotransfobia significa riconoscere che esiste una specifica discriminazione. Solo nominandola è possibile contrastarla e combatterla e garantire uguale rispetto e uguali diritti di cittadinanza a tutti gli individui.

Se solo imparassimo a “vederci” l’un l’altro per quello che siamo e per come siamo”.

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