24 Aprile 2024 10:28

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24 Aprile 2024 10:28

Imperia: Casa Pollicino, 25 anni dell’Associazione Progetto Famiglia. “Anni splendidi, nonostante le difficoltà. L’affido è un tesoro per bambini e famiglie” / Foto e video

In breve: Ecco cosa ha raccontato Nazzareno Coppola, che ha fondato l'Associazione Progetto Famiglia nel 1996 insieme alla moglie Ileana.

“Sono tante le difficoltà, ma infinite le gioie. Guardando indietro penso ‘ne è valsa la pena’”. Sono le parole di Nazzareno Coppola, presidente dell‘Associazione Progetto Famiglia di Imperia, l’associazione che ha aperto la Casa Famiglia Pollicino e che, quest’anno, compie ben 25 anni.

Un traguardo che non è solo un numero, ma porta con sè decine e decine di storie di bambini, ragazzi e famiglie che l’associazione ha seguito con cura e dedizione.

L’associazione si occupa ogni giorno di minori che vivono in stato di semiabbandono, sostenendo famiglie disagiate del territorio imperiese e accompagnando le famiglie affidatarie nel loro importante percorso, tramite progetti a livello di accoglienza, organizzazione, sensibilizzazione e formazione.

Ecco cosa ha raccontato Nazzareno Coppola, presidente e fondatore dell‘Associazione Progetto Famiglia insieme alla moglie Ileana.

Imperia: Casa Pollicino, 25 anni dell’Associazione Progetto Famiglia. Parla il presidente Nazzareno Coppola

Come sono stati questi 25 anni?

“Sono stati anni splendidi e faticosi, fatti di battaglie e obiettivi raggiungi. La nostra mission fin dall’inizio aveva tre obiettivi da raggiungere. Il primo era quella di aprire una Casa Famiglia in Liguria che non esisteva, la seconda di far sì che fosse riconosciuta dalla regione come struttura di accoglienza alternativa agli istituti che c’erano all’epoca e la terza era quella di sensibilizzare l’opinione pubblica all’affido familiare.

Negli anni 94/95 Sanremo aveva il maggior numero di bambini in stato di abbandono e semi abbandono. Solo Sanremo contava circa 110 bambini negli istituti”.

Com’è nato tutto?

“Tutto è nato per una esperienza di volontariato di mia moglie nell’istituto di Arezzo e abbiamo scoperto che non erano orfanotrofi, e che i bambini erano in attesa di una famiglia affidataria.

Abbiamo scoperto cos’era l’affido, cosa erano le case famiglia e ci siamo lanciati in questa impresa.

Abbiamo deciso sin dall’inizio di non investire su politici o finanziamenti pubblici. Caduto il politico o finito il progetto finanziato, rischiava di concludersi anche il nostro progetto.

Abbiamo fondato l’associazione il 29 maggio del ’96 e per due anni abbiamo denunciato le criticità a tutto il territorio sanremese, denunciando la situazione di minori ricoverati negli istituti. Dopo due anni, siamo riusciti ad aprire in completo autofinanziamento la Casa Famiglia Pollicino.

Dal ’96 ad oggi abbiamo continuamente fatto campagne di sensibilizzazione e dal ’98 in poi è partita la sensibilizzazione nelle scuole, soprattutto ai bambini piccoli, parlando di accoglienza e condivisione, arrivando anche ai genitori. 

La Casa Famiglia è stata normata nel 2005, quando insieme ad altre case famiglie liguri che sono nate, abbiamo fondato un coordinamento regionale che è il CoFamily.

Il coordinamento è stato presente in un tavolo regionale per la stesura della nuova legge e dal 2005 è nata la normativa della casa famiglia che regolamenta la sua gestione”.

Quanti bambini avete supportato in tutti questi anni?

“Come associazione abbiamo realizzato un centinaio di affidi. Di questi, circa 1/4 sono stati realizzati attraverso la cogestione degli affidi, attraverso protocolli di intesa che l’associazione stipulava con il comune di provenienza del minore. Questo ha permesso ai genitori di fare ‘solo’ i genitori affidatari.

Noi come associazione abbiamo dato una mano agli affidatari per eliminare tutte le cose burocratiche e soprattutto di far sì che i progetti di affido non fossero solo a monopolio del servizio, ma che tenessero conto anche delle indicazioni date dagli affidatari.

L’associazione riportava i bisogni, mettendo sempre al centro quelli del bambino e poi degli affidatari. Tenendo il progetto ben chiaro.

Quando si parla di legge di affido si parla sempre di tentare sino all’ultimo la possibilità per il bambino di rientrare nella propria famiglia. Questo purtroppo non accade sempre e quindi c’è la strada dell’affido e dell’adozione”.

Ci sono poche famiglie disponibili per l’affido. Come mai? Come si fa ad avere più adesioni?

La mancanza di famiglie affidatarie c’è da sempre, da quando abbiamo iniziato la nostra esperienza. Questa frase l’abbiamo sempre sentita. Le soluzioni ci vengono date la dove ci sono stati Comuni e Regioni lungimiranti. La sensibilizzazione al primo posto.

Nel nostro territorio i Comuni che hanno fatto investimenti per campagne di sensibilizzazione trovavano persone disponibili.

C’è il problema a monte, pochi operatori rispetto al numero dei casi. Tante volte ci si trova a risolvere l’emergenza dell’allontanamento di un bambino, ma non si hanno le forze, i tempi, per poter portare avanti il progetto dell’affido. Il problema sono i tempi, più un bambino sta fuori casa più è peggio per lui.

La nostra esperienza ci porta a riflettere sul fatto che i bambini che hanno avuto una esperienza di affido o di casa famiglia fatta in un certo modo, rimane a loro un tesoro che possono utilizzare una volta grandi.

Lo vediamo in alcuni ragazzi accolti, che oggi sono genitori. Questa cosa ci gratifica molto, dà un senso a tutta l’esperienza, le fatiche, le nottate. Ne è valsa la pena.

Dopo la pandemia Covid, adesso c’è un boom di richieste di affido?

“Si c’è una richiesta forte da parte dei servizi sociali, sia di richieste per famiglie affidatarie, sia per richieste per accoglienze in casa famiglia.

Come tutti ben sanno con il Covid sono state congelate in casa tante situazioni drammatiche, non solo i bambini, ma anche le coppie, le donne. Situazioni che non hanno fatto altro che peggiorare”.

Un appello per le famiglie che sono indecise o non sanno bene cosa sia l’affido?

“Bisogna dire che non è una esperienza facile, come non lo è mettere al mondo dei figli. Accogliere un bambino vuol dire mettersi al servizio di quel bambino.

Senza avere aspettative enormi, come dovrebbe essere con un figlio biologico, con la consapevolezza che entri in un sistema dove ci sono tanti attori attorno alla storia di questo bambino.

Mentre in adozione il bambino diventa tuo figlio e non hai nessuno intorno, te come genitore affidatario hai a che fare con assistenti sociali, psicologo, giudice del Tribunale.

È una esperienza molto bella, faticosa, ma che vale la pena vivere”.

Le difficoltà più grandi sono quelle burocratiche. Avete qualche obiettivo da raggiungere per migliorare la vita delle famiglie affidatarie?

“Noi vorremmo implementare questo discorso dei protocolli d’intesa, stando vicino alla famiglia affidataria nel momento in cui decide di partire e durante tutto il percorso.

C’è la formazione prima, ma ci deve essere l’accompagnamento anche dopo. La collaborazione tra istituzioni e terzo settore porta dei frutti.

Vorremmo aumentare questo, perchè ce n’è sempre più bisogno”.

 

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