11 Ottobre 2024 00:33

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11 Ottobre 2024 00:33

Un’imperiese in Palestina: tornano i report di Susanna Bernoldi, coordinatrice Aifo. “13enne ucciso perchè manifestava per la liberazione degli arrestati senza processo” / Le immagini

In breve: Per far conoscere quella realtà a chi non si trova sul posto, Susanna realizza report in cui racconta tutto ciò di cui è testimone in questa esperienza.

L’imperiese Susanna Bernoldi, coordinatrice Aifo, dopo l’esperienza del 2018 (clicca qui), da alcuni giorni è tornata in Palestina per aiutare la popolazione, devastata da continui conflitti.

Per far conoscere quella realtà a chi non si trova sul posto, Susanna realizza report in cui racconta tutto ciò di cui è testimone in questa esperienza.

Un’imperiese in Palestina: il primo report di Susanna Bernoldi

Palestina! Quanto ho desiderato respirare questa aria, ritrovarmi in questo incontro tra il blu intenso del cielo, la terra scura delle colline e la pietra chiara delle case, ma, soprattutto, incontrare la gente, perché ciò che conta, in ogni viaggio, è condividere la vita con le persone comuni… come me.

E’ stato complesso avere tutti i documenti in regola per poter entrare in Israele, ma già il primo giorno, nel Convento delle Clarisse di Gerusalemme e al Getsemani mi ha rigenerato e poi, subito nei Territori Occupati! Ritrovare, a Ramallah, l’appartamento ben noto e Diana, la giovane free lance palestinese che da anni, anche se giovane, è attiva come volontaria dell’International Solidarity Movement è stato un risentirsi a casa.

La sera stessa siamo state a fianco degli abitanti del quartiere di Al Beira dove molti protestavano a favore della liberazione dei prigionieri nelle carceri israeliane: più di 6.000, molti minori e donne, la maggioranza di questi senza accusa né processo. Il primo gas… i soldati israeliani hanno sparato una infinità di gas lacrimogeni… non mi ricordavo il bruciore acro in gola e negli occhi. Per fortuna, nessun ferito.

Ieri, 6 novembre, un giorno che non dimenticherò mai. Ho negli occhi e nel cuore la desolazione infinita e composta, il dolore immane della madre e del padre di Mohammad Da’das, 13 anni, ucciso da un cecchino israeliano che gli ha sparato allo stomaco, vicino al cuore. Manifestava a Deir Al Hatab con tanti altri per la liberazione dei prigionieri, soprattutto dei 6 che da più di 100 giorni fanno lo sciopero della fame per protestare per la loro detenzione amministrativa: arrestati senza accusa, né processo, nessuna visita da parte dell’avvocato né delle famiglie, né cura in caso di malattia, nessuna copertura mediatica che possa far conoscere la loro storia.

Ma, torniamo a Mohammad; era tra i manifestanti. Se qualcuno che ancora non sa che cosa accade dei Territori Occupati si chiede perché un ragazzino non se ne stia a casa tranquillo… si chieda che cosa farebbe se fin da quando è in tenerissima età assistesse a irruzioni violente nella propria casa la notte da parte di tanti soldati che volutamente umiliano i genitori, ad arresti, a distruzione di piante o uccisioni di animali fonti di guadagno che impoveriscono la propria famiglia, alla demolizione di case: la propria o quella di famiglie amiche.

Siamo andate alla camera mortuaria e abbiamo visto ricoprire Mohammad con la bandiera palestinese, portarlo fuori su una lettiga dai soldati, schierati a rendergli gli onori. Poi in ambulanza fin dove viveva, nel Campo Profughi di Al Asqar dove una grande folla lo ha accompagnato per le strette vie, alla moschea per la preghiera e infine al cimitero.

La stanza con le celle frigorifere mi ha riportato indietro di 24 anni; il dolore impresso nei volti dei genitori mi ha urlato in faccia le ingiustizie sofferte dal popolo palestinese da ben prima del 1948. Quanti bambini, ragazzi, uomini e donne inermi sono stati uccisi da giovani soldati israeliani ai check point, per la strada e sono rimasti un numero, anche questo senza alcuna rilevanza per il mondo.

Chi ha sparato aveva le armi di uno degli stati più armati al mondo – anche quelle nucleari – ma soprattutto quell’odio e disprezzo verso il popolo palestinese che viene instillato nei giovani israeliani fin da bambini come dichiarano molti giovani ebrei che rifiutano il servizio militre. Mohammad non aveva armi, ma se anche avesse avuto una pietra in mano.

La disumanizzazione dei giovani israeliani è un altro crimine di cui dovranno rispondere i governi israeliani. Siamo rientrate da Nablus sfinite fisicamente e psicologicamente e io, per la prima volta in vita mia, sono andata a letto alle ore 18 e ho dormito per 12 ore!”.

Notizie in breve:

“Murad Eshtewi, leader del movimento di resistenza contro l’occupazione delle terre del loro villaggio di Kufur Qadum, mi ha scritto che venerdì, mentre stavano facendo la loro manifestazione settimanale di protesta per il furto della terra e della strada principale che li portava a Nablus, hanno ricevuto la chiamata dell’amico Hilmi Shtaiwi: un gruppo di coloni aveva invaso il suo uliveto e si stavano portando via le olive raccolte. Sono accorsi in tanti e hanno messo in fuga i coloni, ma hanno dovuto affrontare i soldati che stavano proteggendo i coloni.

Purtroppo, invece, un contadino di Burin, (a Sud di Nablus), ieri ha trovato 45 alberi d’ulivo tagliati dai coloni. Ogni volta che so queste cose mi riecheggiano le parole che Ben Gurion disse ai suoi generali quando li incaricò di cacciare con ogni mezzo, anche il più efferato, il popolo palestinese dalla sua terra e di togliere qualunque mezzo di sussistenza. In effetti, togliere l’acqua, uccidere gli animali allevati, distruggere i raccolti e gli alberi d’ulivo è un’ottima strategia che esegue alla perfezione quell’ordine.

Il 6 novembre. i coloni, ben protetti dall’esercito israeliano, hanno invaso il piccolo parco giochi del villaggio palestinese di Susya (a Sud di Hebron) chiedendone a gran voce la demolizione. Così come dal 2009 vi sono gli ordini di demolizione della ben nota “Scuola di gomme” di Khan Al Akhmar. Distruggere la possibilità di crescere istruiti e felici, altra strategia da sempre in atto.

Vi invito a leggere l’articolo su Internazionale del 29/10-4/11 che riporta un articolo di Mohammed El Kurd: “I difensori della montagna” che parla della “lotta collettiva e inarrestabile” degli abitanti del villaggio di Beita (a Sud di Nablus) che non accettano l’occupazione illegale iniziata a maggio 2021 da parte di un avanposto israeliano che ha rubato terre di Beita, Yatuma e Qabalan.

I residenti palestinesi resistono da allora nei modi più creativi rendendo le notti rumorose e luminose e quindi… ben poco riposanti per gli invasori.

L’esercito ha risposto in modo violento alle manifestazioni dei palestinesi uccidendo 7 abitanti di Beita e ferendone più di 100; venerdì un soldato israeliano ha sparato ad un giovane che partecipava ad una manifestazione pacifica tenendo in mano la bandiera. Lo ha colpito al volto e il ragazzo ha perso l’occhio destro. Sparare agli occhi era ormai la prassi per “punire” i fotografi, prassi che si è estesa ai ragazzi. Pensate che questo crimine passerebbe sotto silenzio se a compierlo fosse stato un palestinese?

Mi piacciono queste parole di Mohammed: “Non è difficile immaginare in che modo la crudeltà dell’occupazione possa creare delle persone così coraggiose”.

A Beita andrò sicuramente, anzi, non vedo l’ora di incontrare i piccoli che la sera tengono piccole luci mentre i nonni ottantenni dirigono verso l’avanposto le luci laser, perché i Difensori della montagna sono di ogni età e non si arrendono.

Ora vi saluto, mi gusto un bel “muajanet”, con formaggio e verdure”, come una nostra focaccia farcita… ieri ho comprato un vaso con gustosissime piccole melanzane farcite con noci immerse in un olio fantastico. Nel pomeriggio andremo a unirci alla manifestazione in Piazza Al Manara sempre per chiedere la liberazione di quei sei grandi Uomini in arresto amministrativo che stanno rischiando la loro vita per vedere rispettati Diritti che dovrebbero essere inalienabili, ma non lo sono nell’”Unica democrazia del Medio Oriente” come si ostina a definirsi lo stato ebraico”.

Susanna

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