28 Marzo 2024 12:32

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28 Marzo 2024 12:32

Un’imperiese in Palestina: il secondo report di Susanna Bernoldi, coordinatrice Aifo. “Ogni giorno violenze contro persone e risorse” / Le immagini

In breve: Per far conoscere quella realtà a chi non si trova sul posto, Susanna realizza report in cui racconta tutto ciò di cui è testimone in questa esperienza.

L’imperiese Susanna Bernoldi, coordinatrice Aifo, dopo l’esperienza del 2018 (clicca qui), da alcuni giorni è tornata in Palestina per aiutare la popolazione, devastata da continui conflitti.

Per far conoscere quella realtà a chi non si trova sul posto, Susanna realizza report in cui racconta tutto ciò di cui è testimone in questa esperienza.

Ecco il suo secondo report.

Un’imperiese in Palestina: il secondo report di Susanna Bernoldi, coordinatrice Aifo

“Sabah alkhayr 🙂

Anche qui è iniziato l’inverno.. e la Palestina fa sul serio anche in questo: la temperatura è scesa e ieri vi era una stranissima nebbia bianca che avvolgeva Ramallah… Un po’ come la nebbia che avvolge e nasconde ciò che ogni giorno accade in questa terra.

A me porgervi qualche notizia… ma ogni momento giungono informazioni da varie parti della Palestina ed è difficile scegliere! Allora inizio dall’esperienza vissuta venerdì, giorno di festa qui, con i Cavalieri della Montagna di cui vi ho scritto nel primo report.

Beita, villaggio di15.000 abitanti verso il Nord, vicino a Nablus, ha la sfortuna di trovarsi in una posizione strategica, per cui il primo ministro israeliano Naftali Bennet ha deciso che lì deve sorgere l’ennesima colonia ILLEGALE… Sappiamo che Israele non accetta critiche, né imposizioni dagli organi internazionali, si fa beffe da sempre delle Risoluzioni ONU e della Corte Internazionale di Giustizia. Non permette alcun controllo del proprio arsenale militare, strepita contro l’Iran per il nucleare quando è risaputo che ne è ben fornita e da ben prima della Shoa compie una pulizia etnica accusando il popolo vittima di essere terrorista…

Torniamo a Beita: Arriviamo io e Diana verso le 10.30, lei “armata” di macchina fotografica professionale, giubbotto antiproiettile e maschera antigas (equipaggiamento normale per i reporter ormai target ambìto dei soldati) e siamo accolte con il solito calore da alcuni abitanti; le uniche donne saremo noi e le attiviste israeliane che arrivano da Gerusalemme e Tel Aviv: da quando i confini Israeliani sono stati blindati e quindi nessun volontario internazionale ha potuto entrare, si è intensificata la presenza dei cittadini israeliani contrari all’occupazione, perché gli abitanti di Beita non si sentano soli nella loro resistenza pacifica.

Dopo la preghiera della comunità di Beita recitata sotto gli alberi, abbiamo iniziato la marcia con le bandiere lungo il sentiero verso l’avamposto, ma – come prassi – sono arrivati i soldati: ai gas, bombe sonore, proiettili di gomma, di acciaio foderato di sottile gomma e di acciaio… e basta, i giovani rispondono lanciando pietre con le fionde fatte da loro e, quando il vento soffia verso l’avamposto, bruciando copertoni.

Le 5 ambulanze pronte sono rimaste bloccate in alto, lontane da dove i giovani cercano di avanzare verso l’insediamento, perché un grande bulldozer (protetto dai soldati israeliani durante il suo lavoro), ha ben presto distrutto le strade asfaltate o anche sterrate, ma ben percorribili.

Al termine della giornata, gli operatori sanitari fanno il bilancio: 63 casi di soffocamento per il grande numero di lacrimogeni lanciati, 4 le persone ferite con proiettili di acciaio foderato e un attivista israeliano colpito a due dita della mano destra – probabilmente fratturate – da proiettili di gomma, infine 5 feriti per le cadute e 2 ustionati.

Tutti tiriamo un sospiro di sollievo: nessun giovane ucciso!

Vi raccontavo degli espedienti usati dagli abitanti di Beita per rendere “inquiete” le notti dei soldati: raggi laser, tamburi... Ieri ho visto in azione un signore credo della mia età che, con un microfono e usando potenti altoparlanti, ha – ininterrottamente e per molte ore – ripetuto ai soldati che non hanno il diritto di occupare le loro terre, che se ne devono andare perchè gli abitanti di Beita sono tanto più forti di loro, li accusava degli omicidi e ferimenti di centinaia di giovani, sparati agli occhi e alle gambe. Una forza e una energia incredibili! Così come i giovani che dimostravano una grande determinazione nell’avanzare nonostante gli spari verso di loro. Sono veramente felice di averne conosciuto diversi, di aver sentito tangibile questo loro coraggio.

Lacrimogeni e pallottole a Beita e in ogni villaggio dove – ogni venerdì e non solo – si svolgono le dimostrazioni pacifiche contro le tante e già denunciate violazioni di Diritti Umani.

Ogni giorno vi sono violenze contro le persone e le risorse che da sempre hanno reso prospera la Palestina fino all’azione distruttiva sionista.

Vi sono tanti casi: ne cito solo 4 perché riguardano vittime di età diverse e dimostra come questi coloni giunti da Russia, Ucraina e altri paesi europei, USA, Africa, Australia (viaggi pagati dai soldi dei contribuenti USA) – che nulla hanno a che vedere con questa terra – evidenziano il totale disprezzo per la vita di bambini, giovani e anziani palestinesi.

Cito il caso dell’anziano contadino di Surif, ferito da una grossa pietra lanciata da giovani coloni che hanno invaso il suo uliveto armati di bastoni scagliandosi contro i lavoratori e gli attivisti, quello del giovane di Yatta, attaccato e picchiato sempre dai coloni. Nella zona di Yatta vi sono molti villaggi beduini che, oltre a non ricevere né acqua né luce ed avere continui ordini di demolizione, furti di auto e mezzi di lavoro, ogni giorno subiscono incursioni militari e di coloni.

Infine il caso del bambino di Bedouin, presso Gerusalemme, al quale un soldato ha sparato al petto un proiettile di gomma… Attenzione, il proiettile di gomma – se sparato da lontano in una parte non vitale del corpo (come successe a me dietro la coscia sinistra) provoca ematoma, un po’ di dolore e basta, ma se sparato da vicino, in volto o in una parte vitale, può essere letale o causare danni gravi.

Voglio però anche ricordare il giovane Hossam Saraya di Assira Qiblyia. Mi ha mostrato la sua foto la mia amica Hakima, impegnata da sempre in progetti stupendi soprattutto per le donne del suo villaggio da sempre vittima di incursioni violente da parte dei soldati e dei coloni di Yitsar.

Hossam, 19 anni, è stato ucciso da uno dei coIoni che avevano invaso un terreno e vi avevano dato fuoco… 19 anni. Ma non vi sarà processo: i coloni feriscono, distruggono, uccidono e sono assolutamente impuniti: i soldati li osservano, li proteggono da eventuali reazioni dei contadini che cercano di difendere le loro proprietà. Un mondo alla rovescia!
Ragazzi e bambini uccisi o che rimangono disabili perchè sparati agli occhi, alle ginocchia.

Chi sono i terroristi? Certo Israele deve pur impiegare oltre ad altri contributi – i MILIARDI di dollari che ogni anno riceve dagli USA specificatamente per la sua difesa!

E giusto perchè il sangue non ribolla sono nelle mie vene… io che nel mio giardino abbraccio i miei tre alberi d’ulivo, ieri 13 nov, i soldati, cioè l’esercito regolare, hanno sradicato, nel villaggio di Beit Ummar a nord di Hebron 130 alberi d’ulivo. Fonte di sostentamento delle famiglie Sa’id Ba’ran e Sabarna.
Lo scopo? Permettere l’avanzata della colonia illegale Karmie Tzur. Non è un crimine?

Mi costringo a chiudere con una notizia strabella scrivendo di un fatto di cui venni a sapere diversi anni fa da una ricercatrice asiatica che era a Nablus proprio per studiare questo fenomeno. Da anni, uomini in carcere, condannati con o senza processo – a 20-30–40 anni o per il resto della loro vita in prigione, riescono a divenire padri facendo uscire dal carcere il loro sperma… moglie e medici pronti…

Il come, non si deve sapere… Il fatto è che dal 2019 al 2021 sono nati 99 bambini in questo modo. Nelle tre foto, le immagini di Waleed Daqa ora 61enne, ormai da 34 anni in carcere, che – nella primavera 2020 – è divenuto padre della splendida Milad che vedete in braccio alla mamma nel 2020 e ora. Questo è altro esempio della capacità di lotta di questo popolo.

Ci salutiamo con le parole di un grande, Martin Luther King:
“Lasciate l’odio a chi è troppo debole per amare”

Susanna

P.S. Tra poco andrò a incontrare gli e le operatrici di Addameer, una delle ONG più stimate che operano per i Diritti dei prigionieri nelle carceri israeliane, avvocati definiti terroristi dal governo israeliano. Mi nutrirò della loro forza e coraggio e magari vi racconterò. :-)”.

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