14 Ottobre 2024 17:18

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14 Ottobre 2024 17:18

Trentennale strage via D’Amelio: il Procuratore di Imperia Lari, il processo Partanna e l’incontro con Messina Denaro

In breve: Si è tenuta ieri sera, 19 luglio, presso i giardini Lowe, a Bordighera, in occasione del trentennale della strage di Via D’Amelio, nella quale persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta, la cerimonia commemorativa organizzata dal coordinamento provinciale di Libera.

Dal processo Partanna, nato con la testimonianza di Rita Atria, donna simbolo della lotta alla mafia, all’esperienza umana e lavorativa al Tribunale di Marsala, passando per l’incontro con Matteo Messina Denaro, il latitante mafioso più ricercato al mondo. Sono alcuni dei passaggi del lungo intervento del Procuratore Capo di Imperia Alberto Lari ieri, 19 luglio, presso i giardini Lowe, a Bordighera, in occasione del trentennale della strage di Via D’Amelio, nella quale persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta.

Trentennale strage via D’Amelio: il Procuratore Lari racconta la sua esperienza a Marsala poco dopo la morte di Paolo Borsellino

“Io sono estramente legato, anche dal punto di vista emotivo, alla vicenda di Paolo Borsellino, perché sono passati 30 anni dalla strage di via d’Amelio e la strage di via d’Amelio coincide con il mio ingresso in Magistratura. Ero entrato nel ’91 e nell’aprile del ’92 scelgo come sede di destinazione di Tribunale di Marsala. Dopo che ho scelto, dopo un mese hanno ammazzato Falcone e dopo tre mesi hanno ammazzato Borsellino. Hanno iniziato a tremarmi le gambe al pensiero di dover andare a Marsala. Anche la famiglia ha cominciato a tremare, al pensiero che sto giovane ragazzo andasse a Marsala. Non era una prima esperienza semplice.

Però l’esperienza mi ha arricchito moltissimo, perché posso dire di aver avuto la fortuna di aver lavorato con persone che avevano lavorato con Borsellino fino a un attimo prima. Ho potuto toccare con mano cosa pensavano queste persone di Paolo Borsellino. Ho capito quanto gli volevano bene, quanto lo apprezzavano dal punto di vista lavorativo. Ma ho potuto apprezzare anche come lavorava Paolo Borsellino, perché a Marsala, nel suo ultimo periodo, insieme ai suoi ragazzi, perché la Procura era molto giovane, aveva istruito alcuni processi di cui mi sono dovuto occupare come organo giudicante. Quindi ho potuto vedere come lavoravano, la serietà dei processi che presentavano, le prove che venivano offerte.

E dovete tener presente che quando sono arrivato a Marsala, nel 1992, c’era appena stato il maxi processo a Palermo. E quindi non c’era mai stato un processo che dicesse che esiste la mafia a Trapani, a Marsala, a Mazara del Vallo, a Castelvetrano, a Partanna. Sembra un altro mondo. C’era appena stato il maxi processo in quelle zone, che sono il cuore della mafia, e mai nessun Tribunale aveva detto esiste la mafia.

Io sono stato tra i giudici che per la prima volta hanno detto che vi era la mafia in quei territori. Non era semplice. Non era facile all’epoca, perché le resistenze erano veramente forti.

In particolare, il processo che seguii fu quello della mafia di Partanna. Facevo parte del collegio giudicante. Fu un processo impegnativo, oltre un anno, con udienze serrate. Siamo andati in Svizzera, a Padova, a Roma, in tutte le aule bunker. Il processo era veramente un unicum. Si basava essenzialmente sulla dichiarazione di tre donne, Rita Atra, Piera Aiello, Rosalba Triolo. Tre testimoni di giustizia che avevano vissuto sulla propria pelle cosa vuoldire far parte di una famiglia mafiosa. Erano conviventi, avevano vissuto, erano testimoni, anche se indirette.

Rita Atria era morta (ufficialmente suicidio, ma i dubbi ancora oggi restano tanti, ndr). Dunque immaginate, in un processo dove mai era stata dichiarata l’esistenza della mafia il gioco dei difensori, ma voi veramente state scherzando? Voi Tribunale della Repubblica volete dichiarare l’esistenza della mafia sulla base delle dichiarazioni di tre ragazzette, di cui una non c’è più. Rita Atria era morta e la difesa gridava allo scandalo perché si facevano prove sui verbali resi davanti a Borsellino, ma gli avvocati non potevano fare le loro domande con le quali, dicevano, avrebbero dimostrato che Rita Atria mentiva.

Alla fine del processo abbiamo condannato quasi tutti e la sentenza è stata confermata sia in appello che in cassazione. Le dichiarazioni di Rita Atria erano vere, esisteva, ed esiste, la mafia a Partanna e Castelvetrano.

Ma l’importanza di queste dichiarazioni è enorme, anche perché la mafia di Castelvetrano era la mafia della famiglia Accardo. Avevano rapporti strettissimi con la famiglia di Messina Denaro. Matteo Messina Denaro è il principale latitante mafioso, forse il più importante al mondo. Tra i vari ricordi di quel processo c’è anche quello che ho conosciuto Matteo Messina Denaro. Perché nel 1993 venne citato come teste della difesa da parte di questo Accardo. A dire le solite cose che si dicono in questi processi di mafia in cui si parla di un familiare, ovvero che è una brava persona. La testimonianza si basava sul fatto che c’era stato un incontro tra questo Accardo e Messina Denaro e fu importante per l’accusa per dimostrare che gli Accardo avevano rapporti solidi con Messina Denaro, padre e figlio.

Perché vi ho parlato di questo processo, perché era veramente difficile resistere a quelle che erano le pressioni che abbiamo dovuto sopportare in quel momento. Ma non solo perché non era mai stata dichiarata l’esistenza della mafia in quei territori, ma proprio per l’atteggiamento ostile che dovevamo sopportare. Non è facile a 30 anni, alla prima esperienza.

Adesso quando faccio i processi qui in Tribunale a Imperia, a volte con i colleghi ne parliamo e mi metto a sorridere. E’ una gita andare in udienza, nel senso che il clima che si respira è tranquillo, si discute. Lì non è così, ti siedi e la gente inizia a mormorare. Si alza un difensore e inizia a eccepire qualcosa. Il Tribunale rigetta l’istanza e l’avvocato si rialza e eccepisce ancora. Il Tribunale rigetta e l’avvocato ancora, eccepisco. Una volta iniziammo un’udienza alle 9 e alle 12 eravamo ancora lì a risolvere questa famose eccezioni. La pressione è pazzesca, perché tu amministri la giustizia e ti rendi conto che c’è qualcuno che sta facendo di tutto perché non vuole che venga fatta giustizia. Di tutto per riuscire a dimostrare che la condanna è ingiusta perché il giudice è talmente prevenuto che mi da sempre torto. Vi giuro che le ho sentite queste cose. Sentivo che nei banchi si mormorava ‘hanno già deciso’. Con i detenuti, mafiosi, in aula, dentro una gabbia, non è una pressione da poco. Perché tu alla vita ci pensi. Tu senti che stai correndo un pericolo. Perché tre mesi prima hanno fatto saltare in aria dei magistrati e tu stai facendo un processo alle stesse persone e si sta creando un clima di ostilità. Sono comunque situazioni che aiutano a crescere.

Facemmo la camera di consiglio chiusi per una settimana dentro la Caserma dell’Areonautica militare. Un’esperienza indimenticabile. Chiusi in una stanza. Mangiavamo in un localino adiacente a questa stanza, perché in camera di consiglio il magistrato non dovrebbe avere contatti con nessuno. Una grande serietà, nei processi di mafia, che oggi non c’è più. Quando si fanno i processi adesso spesso i giudici si riuniscono in tre camere di consiglio, si vedono, non si vedono, poi alla fine si riuniscono tre quattro ore, una serata, e decidono. Invece lì, proprio per dare la dimostrazione che decidevamo in piena autonomia, che non vi erano inteferenze, che guardavamo ogni singola posizione, ce ne siamo stati chiusi in una caserma per una settimana senza sentire nessuno. Questa era una garanzia. Anche gli imputati apprezzano, perché capiscono che hai dato l’anima. Ma è anche una situazione pesante dal punto di vista emotivo, non puoi parlare con nessuno, neanche con la famiglia, che non sa nulla di te. Con i carri armati intorno alla caserma.

Poi sono arrivato al nord, figurati se esiste la mafia al nord. E invece dieci anni di lavoro, mio e del dott. Arena, e ci sono sentenze definitive che dicono che esiste la mafia anche al nord. Abbiamo tre sentenze definitive che dicono che esiste la mafia al nord, in Liguria. La sentenza Maglio 3 che dice che esiste a Genova e nel ponente ligure, la sentenza i Conti di Lavagna, e la sentenza La Svolta che dice che esiste la mafia a Bordighera e Ventimiglia”.

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