12 Dicembre 2024 05:40

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12 Dicembre 2024 05:40

Arresto Toti: quando il garantismo diventa un alibi/L’editoriale

In breve: Il Presidente Toti, cui auguriamo di risolvere al più presto i problemi giudiziari, che non si augurano a nessuno, dovrebbe dimettersi. E anche alla svelta. E non perché colpevole, quanto perché indifendibile sotto i profili dell'etica e della morale".

L’arresto del Presidente della Regione Liguria Giovanni Toti ha sconvolto la Liguria. Nell’ultima settimana non si parla d’altro. Colpevolisti e innocentisti si affrontano a colpi di frasi fatte in ogni angolo della città. “Sono tutti uguali, tutti in galera” da una parte, “la solita giustizia a orologeria, finirà in una bolla sapone” dall’altra. Una contrapposizione che l’umanità si porta appresso da migliaia di anni, a partire dalla crocefissione di Gesù Cristo.

Negli ultimi tempi, però, a queste due categorie se n’è aggiunta una terza: i garantisti 2.0.

Una breve premessa. Dal vocabolario Treccani, il garantismo è una “dottrina politica e correlativo movimento d’opinione che si sono sviluppati nel corso dell’Ottocento liberale in favore del necessario rispetto dei diritti individuali e delle garanzie costituzionali poste a loro tutela contro le interferenze e gli eccessi dei pubblici poteri”.

Orbene, nel corso degli ultimi anni, senza addentrarci nelle singole responsabilità di questa stortura dialettica, il termine garantismo ha cambiato connotati, diventando un garantismo 2.0, ovvero un alibi, per politica e opinione pubblica, per non prendere posizione su fatti che al contrario hanno una chiave di lettura tanto chiara quanto scomoda.

Venendo a un esempio concreto, giusto essere garantisti per quel che riguarda le contestazioni di natura penale mosse dalla Procura a Giovanni Toti. Sino al terzo grado di giudizio, come stabilisce la legge italiana, si è innocenti. Ma cosa c’entra il garantismo con il giudizio sull’operato politico di un amministratore?

Certo, è più facile dire di essere garantisti piuttosto che dire che le allegre ‘rimpatriate’ tra il Governatore della Regione Liguria Giovanni Toti e il Presidente dell’Autorità Portuale Paolo Signorini sullo yacht dell’imprenditore Aldo Spinelli mentre quest’ultimo sta trattando il rinnovo trentennale della propria concessione (Terminal Rinfuse) sul porto di Genova sono un obbrobrio politico, culturale, etico, morale. Come lo è il fatto che il Governatore della Regione chiami un imprenditore, ancora Spinelli, per dirgli “abbiamo risolto il problema a tuo figlio, quando mi inviti in barca che ora ci sono le elezioni e abbiamo bisogno di una mano”. Nelle carte dell’inchiesta che ha portato all’arresto di Toti emergono contatti continui tra il Governatore e soggetti privati con intrecci economici e lavorativi con la Regione Liguria. Con la ciliegina sulla torta, amarissima, dei fondi del Decreto Genova per la ricostruzione del Ponte Morandi utilizzati per operazioni portuali gradite all’imprenditore Spinelli. Tutto, francamente, inaccettabile.

E questo a prescindere dai finanziamenti ai partiti che oggi qualcuno rivorrebbe pubblici guardando con nostalgia al passato. Perchè il problema alla base resta sempre lo stesso. Il finanziamento può anche essere pubblico, legalizzato, tracciato, autorizzato, ma se un Sindaco, un Presidente di Regione, un Capo del Governo, va a cena da un imprenditore che è in ballo con l’ente pubblico per qualunque tipo di autorizzazione, la ottiene e il giorno dopo fa un bonifico al partito c’è un problema di moralità. Il fatto che l’Italia del dopoguerra sia cresciuta a pane e Democrazia Cristiana non significa che debba morire a pane e Democrazia Cristiana.

Il nostro giornale, come sempre, prende una posizione netta. Il Presidente Giovanni Toti, cui auguriamo di risolvere al più presto i suoi problemi giudiziari, che non si augurano a nessuno, dovrebbe dimettersi. E anche alla svelta. E non perché colpevole, quanto perché indifendibile sotto i profili dell’etica e della morale, ovvero quelli che dovrebbero essere, in un Paese normale, gli elementi cardine del patto di fiducia con l’elettorato.

Mattia Mangraviti

 

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