25 Aprile 2024 18:35

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25 Aprile 2024 18:35

Coronavirus: la paura al tempo dei social, a tu per tu con gli psicologi. “Comportamenti irrazionali dettati da smarrimento, serve collaborazione di tutti”

In breve: Nel tentativo di fare chiarezza su un tema così complesso, per capire come si innescano certi tipi di comportamenti e in che modo poter affrontare la paura, anche in futuro, ci siamo rivolti direttamente agli esperti del settore.

A cosa abbiamo assistito negli ultimi giorni a Imperia, in Italia e nel mondo? Si può parlare di “psicosi”? Come si genera? E come si affronta? Queste e molte altre sono le domande che ImperiaPost ha posto alla psicologa Anna Zunino, vice presidente dell’ordine della Liguria, e allo psicologo e psicoterapeuta sanremese Davide Bellini, per approfondire l’argomento “coronavirus” da un altro punto di vista rispetto a quello puramente sanitario e statistico.

Coronavirus: come si genera la paura

Ribadendo l’importanza di rispettare le indicazioni diffuse dal Ministero della Salute per prevenire il contagio da Coronavirus, ImperiaPost ha deciso di occuparsi di un altro aspetto legato all’emergenza sanitaria, ovvero quello psicologico.

Sono molti, infatti, gli episodi di panico o di comportamenti irrazionali che si sono verificati in tutto il mondo, e in alcuni casi anche a Imperia, correlati alla diffusione del virus. Dagli assalti alle farmacie per accaparrarsi ogni mascherina disponibile, al “saccheggio” dei supermercati, fino ad arrivare agli episodi di razzismo e violenza.

Nel tentativo di fare chiarezza su un tema così complesso, per capire come si innescano certi tipi di comportamenti e in che modo poter affrontare la paura, anche in futuro, ci siamo rivolti direttamente agli esperti del settore.

Ecco cosa hanno risposto.

Anna Zunino, psicologa, vice presidente OPLig

A cosa stiamo assistendo in Italia e nel mondo?

“Innanzitutto, va precisato che si tratta di un problema complesso, ma proveremo a mettere dei punti fermi per fare chiarezza senza semplificare troppo. La situazione a cui stiamo assistendo, detta volgarmente “psicosi”, può essere meglio definita come una condizione di paura e ansia che solitamente emerge quando ci si trova davanti a una situazione ignota, non certa, per cui non ci sono precedenti risposte.

L’emozione che nasce davanti all’ignoto è solitamente utile perché ci spinge a rispondere in modo proattivo a qualcosa che non si conosce. Ad esempio, se ci si trova a camminare da soli di notte, la paura ci fa stare in allerta, per essere pronti a fronteggiare potenziali situazioni di pericolo. È una reazione funzionale alla sopravvivenza.

Il problema nasce quando questa emozione diventa disfunzionale, perchè non si sa da che cosa ci si deve difendere, sfociando in comportamenti incontrollati e a volte irrazionali. In più, si verifica la condizione per cui le persone si influenzano una con l’altra amplificando la sensazione di paura. In questo senso si potrebbe parlare proprio di  un “contagio” emotivo. E questo è quello a cui stiamo assistendo in questo periodo in Italia”.

Ci sono delle responsabilità?

“Certamente ci sono delle responsabilità. È chiaro che ci troviamo di fronte a una mole di informazioni che passa in maniera incontrollata e che aumenta la sensazione di ignoto e, conseguentemente, l’emozione di paura nelle persone. I canali di informazione hanno le loro responsabilità, ad esempio per via dei titoli spesso allarmistici usati per fare notizia”.

Ci troviamo forse alla prima emergenza globale al tempo dei social media, questo influisce?

“Decisamente. I social sono una grande cassa di risonanza, un canale che prima non c’era e ora amplifica la sensazione di smarrimento. Chi è costantemente connesso si trova sommerso da continue informazioni a volte anche divergenti e perde il senso dell’orientamento. Spesso si cerca una semplificazione, una soluzione rapida che calmi l’ansia. Non trovandola, si amplifica la paura e si innescano risposte irrazionali e controintuitive, come l’assalto ai supermercati. Sarebbe più intuitivo, infatti, pensare di evitare posti sovraffollati per diminuire le possibilità di contrarre il virus, invece si fa il contrario, sebbene non ci sia motivo di preoccuparsi della mancanza di approvvigionamento. Un altro esempio è quello di chi scappa dalle zone rosse, pensando solamente alla propria situazione, senza rendersi conto che non solo si mette in pericolo gli altri, ma anche se stessi e i propri cari, perché non si contribuisce al contenimento del contagio”.

L’Oms ha parlato di “Infodemia”, di cosa si tratta?

“L’Oms parla di infodemia, ovvero di epidemia di informazione, per la troppa abbondanza di queste. In questo mare di notizie, non è facile discernere ciò che è corretto da ciò che non lo è. Non tutti hanno gli strumenti per analizzare criticamente le informazioni, distinguerle dalle fake news, e diventa difficile capire cosa fare. Bisognerebbe essere più attenti all’informazione che viene dalle istituzioni e dai media affidabili.

Il cittadino va educato all’informazione, ma è un lavoro che deve essere fatto in un momento di non emergenza. Quando le acque si calmeranno bisognerà lavorare su questo aspetto. Bisogna educare alla responsabilità (per se stessi e per gli altri) di fare affidamento a fonti certe, pubbliche, garantite”.

Nel corso di un’emergenza che riguarda, potenzialmente, tutto il mondo, ci si dovrebbe sentire “tutti sulla stessa barca” e più uniti, mentre invece si assiste a episodi di razzismo e violenza. Come mai?

“Si ritorna al problema dell’educazione delle persone. C’è che riesce a rimanere solidale e attento agli altri, chi no. Purtroppo in situazione di crisi, anche economiche, dove le risorse sono poche, scatta istintivamente l’istinto alla sopravvivenza, a volte anche a discapito degli altri. Bisognerebbe lavorare per sollecitare la collaborazione, far capire, fin da bambini, che forse è vero che da soli si va più veloci, ma il gruppo va più lontano, è più forte, e mette a disposizione le risorse per tutti. Se tutti noi sentissimo la responsabilità non solo nei nostri confronti, ma anche per gli altri, la situazione migliorerebbe. Non ragionando nell’ottica individualistica di “nemico/amico”, “io prima degli altri.

Ora siamo nella fase acuta. dobbiamo cercare di arginare l’emergenza, ma poi bisogna assumersi il compito insegnare che una società più solidale e collaborativa sarà l’unica che ci tutelerà”.

Come affrontare, ora, l’emergenza dal punto di vista psicologico?

“L’ordine degli psicologi ha elaborato un vademecum sui comportamenti da tenere in questo momento di tensione. Se ognuno li applicasse, tutti otterremmo dei risultati, ne gioverebbe l’intera comunità, dando vita a un “contagio positivo”. Ad esempio evitare la ricerca compulsiva di informazioni, attenersi e diffondere solo fonti informative affidabili, accertandosi di non condividere fake news, rendersi conto che ci si trova coinvolti in un problema che riguarda la collettività e non personale, quindi sentirsi responsabili anche per gli altri. È importante seguire le direttive delle autorità, dal lavarsi le mani spesso al non toccarsi occhi e bocca.

La collaborazione di tutti ci aiuterà a superare l’emergenza. Ciascuno si deve assumere la responsabilità di diffondere le informazioni correte agli altri e a mettere in atto comportamenti che tutelino la salute di tutti. Molte persone che si trovano al momento in isolamento nelle zone rosse vivono serenamente questa condizione perché si rendono conto che sacrificando per un periodo la loro libertà collaborano all’interesse sia personale che collettivo. 

Abbiamo tutti la responsabilità di mantenere la calma nella propria quotidianità, proprio perché qualcuno non la manterrà. Chi ci riesce diventa un “untore” positivo. A maggior ragione hanno questa responsabilità chi ha più “potere”, dalle istituzioni ai media, da chi ha in mano l’istruzione agli psicologi, chiunque è in contatto con le persone”.

Davide Bellini, psicologo e psicoterapeuta sanremese

Perché bisogna utilizzare il termine “psicosi” con cautela?

“Si parla molto di “psicosi” legata al Coronavirus in questo ultimo periodo, un termine che indica un aspetto clinico legato alla follia, che però viene un po’ abusato e utilizzato in maniera generalizzante. Sicuramente, però, si può dire che l’emergenza scattata per la diffusione del virus ha scatenato comportamenti irrazionali, dettati dalla paura e dall’ansia per l’ignoto”.

Come si fa strada la paura nell’animo delle persone?

“Quello che sta succedendo in questi giorni nelle nostre città per i contagi da coronavirus ci rimanda ad una delle emozioni più dirompenti dell’uomo, la paura, che attualmente si sta propagando con un passo nettamente più veloce del virus stesso.

Spesso, alleandoci l’un l’altro nel nome del panico, cerchiamo di rassicurarci nella condivisione di comportamenti che in realtà non fanno altro che isolarci nell’egoismo più istintivo di chi, intrappolato nella sua paura  guarda solo se stesso e percepisce i suoi simili come potenziali intralci verso una chimerica sicurezza.

Questa immagine più di tutte ci apre gli occhi di fronte al paradosso di questo momento che ci porta a scappare con una veemenza assoluta da un pericolo che non possiamo definire, come fossimo rincorsi da nulla.

La nostra ansia si attiva quando noi non sappiamo o, crediamo di non sapere , quando l’ignoto è l’unica cosa che riconosciamo, perciò l’abbandono della nostra parte razionale in questi momenti rappresenta il vero pericolo, non solo facendoci galleggiare nella follia collettiva più evidente ma anche bloccandoci nell’altra faccia di questa medaglia, il negazionismo più rigido che ci piace scambiare per un rassicurante iper-razionalismo”.

Quali sono alcune soluzioni che si possono mettere in pratica per affrontare la paura?

“Una soluzione è quella di cercare di rimanere concentrati nella propria vita, gestendo in modo razionale le connessioni con i social, attendendosi alle indicazioni delle autorità riguardo le precauzioni.

Banalmente, dovremmo farci portatori di messaggi positivi, perché con il nostro esempio possiamo influenzare il comportamento degli altri, nel nostro piccolo.

Quando il panico s’innesca è quasi impossibile disinnescarlo, bisogna solo aspettare che fisiologicamente si spenga, seguendo un suo ritmo simile a quello di un’onda che si ritira nella sua risacca dopo averci travolto.

Il coronavirus è probabilmente la prima epidemia che viene propagata anche dai social network che, per loro propria natura, sono già perenni stimolatori di opinioni su qualsiasi argomento, amplificando in questo caso le nostre paure “vestendole” con le fantasie di tutti.

È importante rimanere aggrappati alla nostra parte razionale cercando di osservare il momento con un’oggettività che possiamo ricercare nel nostro senso civico che, come ideale condiviso, ci può ricompattare e contrastare il potere disgregante della paura”.

Ecco il vademecum dell’ordine degli psicologi:

 

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