19 Aprile 2024 04:05

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19 Aprile 2024 04:05

Femminicidio a Ventimiglia: una storia già scritta? Parla la sociologa Graziella Priulla. “Crimini basati su cultura del possesso e del controllo. Serve più attenzione”

In breve: Graziella Priulla, sociologa della Comunicazione e saggista, docente universitaria, attiva nell'ambito della divulgazione sulle tematiche della differenza di geGraziella Priulla, sociologa della Comunicazione e saggista, docente universitaria, è attiva nell'ambito della divulgazione sulle tematiche della differenza di genere.

Le identità delle persone che commettono questi crimini è legata all’avere qualcuno da controllare. Portato a termine l’omicidio, che toglie per sempre, chiaramente, la libertà all’altra persona, crolla tutta l’impalcatura, non c’è più un obiettivo e quindi l’unica strada è suicidarsi.

La fragilità dell’identità di queste persone è impressionante. Sono persone che non sanno accettare un ‘no’, che non sopportano la delusione, schiave della frustrazione”.

Così Graziella Priulla, sociologa della Comunicazione e saggista, docente universitaria, attiva nell’ambito della divulgazione sulle tematiche della differenza di genere, commenta l’ultimo drammatico caso di femminicidio/suicidio avvenuto a Ventimiglia domenica 13 giugno.

Sharon Micheletti, 30 anni, dopo mesi di stalking e minacce, è stata uccisa con tre colpi di pistola dall’ex compagno Antonio Vicari, 65enne, nonostante due denunce e precedenti penali per violenza sessuale. Vicari si è tolto la vita poco dopo, utilizzando la stessa arma, nel greto di un vicino torrente.

Una vicenda che, purtroppo, evoca tantissime altre storie di femminicidi in Italia29 solo da inizio 2021, secondo il sito www.femminicidioitalia.info – che sembrano poggiare sullo stesso substrato culturale: “la cultura del possesso e del controllo”, derivante, secondo la sociologa Priulla, da “migliaia di anni di patriarcato”.

Femminicidio a Ventimiglia: una storia già scritta? A tu per tu con la sociologa Graziella Priulla

L’ennesimo femminicidio/suicidio. Cosa c’è alla base di questi crimini?

È una dinamica vista in azione innumerevoli volte. Le identità delle persone che commettono questi crimini è legata all’avere qualcuno da controllare. Portato a termine l’omicidio, che toglie per sempre, chiaramente, la libertà all’altra persona, crolla tutta l’impalcatura, non c’è più un obiettivo e quindi l’unica strada è suicidarsi.

La fragilità dell’identità di queste persone è impressionante. Sono persone che non sanno accettare un ‘no’, che non sopportano la delusione, schiave della frustrazione”.

Come mai i post minacciosi contenuti sul profilo di Vicari (pubblico) non hanno fatto scattare l’allarme in qualcuno?

Viviamo in una società che sottovaluta un po’ tutto. Quando dei ragazzi sono accusati di stupro si sentono dei genitori che li giustificano dicendo che è ‘un gioco, una goliardata’. Nella vita di tutti i giorni fingiamo di credere che una donna ha un occhio nero perchè ha sbattuto contro uno spigolo.

Ogni volta cadiamo dalle nuvole. È una prassi, dopo un femminicidio, leggere interviste ai vicini di casa del killer in cui viene descritto come ‘una brava persona’ e ‘non ce lo saremmo mai aspettato’. È un meccanismo quasi autodifensivo, come se dicendo che non potevamo immaginarlo ci giustifichiamo per non aver fatto nulla per difendere la vittima.

È vero che molte volte chi commette questi crimini, nella vita di tutti i giorni, è una persona normale, non un mostro. Ma è anche vero che i segnali ci sono, come ci sono stati in questo caso, e spesso si fa finta di non vederli”.

Perchè succede questo?

“Questa è proprio la domanda a cui si deve cercare di rispondere. Come mai c’è così poca attenzione per questo fenomeno? Potrebbe sembrare il contrario, perchè a livello mediatico e sui giornali si dà molto spazio ai femminicidi. Anche le forze dell’ordine, i centri antiviolenza, le associazioni di volontariato dedicano molto tempo a organizzare giornate di sensibilizzazione importantissime. Ma come mai nella vita quotidiana spesso ci si gira dall’altra parte?

Le cause vanno ricercate nei 3 mila anni di patriarcato da cui deriva il nostro presente. La cultura del possesso e del controllo dell’uomo sulla donna è un fenomeno talmente antico da sembrare usuale, naturale. È una consapevolezza, ma che, allo stesso tempo, vogliamo tenere lontano da noi. Non vogliamo credere che davvero non esiste la cosiddetta ‘famiglia del mulino bianco’, non vogliamo credere che esistono persone che crescono con la convinzione che ‘un vero uomo debba farsi valere sulla propria donna’”.

La donna non è ancora abbastanza tutelata?

“In realtà le leggi ci sono. Il Codice Rosso è fatto molto bene, se utilizzato nel modo giusto. Il problema, come nel caso di Ventimiglia, è che deve scattare quando è necessario. Poliziotti, Carabinieri, magistrati, ma anche medici, volontari, tutti coloro che potrebbero venire in contatto con una donna vittima di violenza, dovrebbero essere preparati e pronti a gestire questi casi. Molto spesso, infatti, le donne non riescono a raccontare tutto ciò che subiscono, per una serie di motivi, e sta nelle persone che hanno davanti cercare di andare a fondo della vicenda, facendo le domande giuste, mettendo a proprio agio la vittima, non facendola sentire giudicata.

Ci sono tanti pregiudizi che frenano le donne ad aprirsi. Tante donne raccontano di essersi sentite dire, in luogo di denuncia, ‘cosa ha fatto per aver generato questa reazione?’, ‘com’era vestita?’. Un modo per dire ‘te la sei cercata’.

Un altro meccanismo indagato dagli psicologici è l’interiorizzazione del dubbio ‘forse ho sbagliato io’, ‘forse sono io che l’ho incoraggiato’. C’è molta paura di esporsi per il timore di non essere creduta o di essere dileggiata. Ci si sente giudicate sul proprio corpo, sulla propria identità, sulla propria vita intima. Per questo serve molta sensibilizzazione.

Il mio appello per tutte le donne è: non fatevi scoraggiare, denunciate sempre”.

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