28 Marzo 2024 09:25

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28 Marzo 2024 09:25

Omicidio Fedele: ecco perché è stato condannato Domenico Pellegrino. “Fu un’esecuzione mafiosa con modalità brutali”/Le motivazioni

In breve: Nelle oltre 90 pagine di motivazioni, il giudice ricostruisce l'intera indagine (coordinata dal Pm Marco Zocco), dal ritrovamento del cadavere di Fedele, ucciso a colpi di pistola, in frazione Calvo a Ventimiglia, sino all'arresto di Domenico Pellegrino.

“Ritiene questo Giudice che il luogo di campagna isolato dove è stato condotto il Fedele e dove si è consumato l’omicidio, le sedi corporee attinte dai colpi d’arma da fuoco, al vertice del capo e dietro la nuca, che rendono verosimile che il Fedele sia stato fatto inginocchiare, ed il successivo occultamento del cadavere all’interno di un grosso tubo al di sotto del manto stradale siano modalità complessivamente rievocative di una sorta di esecuzione“. Lo scrive il Gup di Genova Cinzia Perroni nella motivazioni della sentenza di condanna, a 20 anni di carcere, di Domenico Pellegrino per l’omicidio, a colpi di pistola, del 60enne Italo francese Joseph Fedele, il cui corpo venne ritrovato il 21 ottobre del 2020, in frazione Calvo, a Ventimiglia.

Omicidio Fedele: ecco le motivazioni della condanna di Domenico Pellegrino

La versione del Pellegrino

Nelle oltre 90 pagine di motivazioni, il giudice ricostruisce l’intera indagine (coordinata dal Pm Marco Zocco), dal ritrovamento del cadavere sino all’arresto di Domenico Pellegrino. Particolarmente rilevante l’interrogatorio di Pellegrino e la versione fornita agli inquirenti dopo l’arresto, secondo lui l’omicidio si sarebbe consumato nel tentativo di difendersi da Fedele che avrebbe dato in escandescenza per problematiche sorte nell’ambito della compravendita di un’auto. 

“Avevo dato a Fedele circa due mesi prima la somma di 5 mila euro per pagare l’acquisto di una vettura (la Mercedes sulla quale Fedele viaggiava). Lui mi aveva detto che stava aprendo un’attività in Francia e aveva bisogno di denaro che mi aveva chiesto in prestito. Io però gli avevo proposto di prendere la sua automobile in cambio di 10 mila euro. L’accordo l’avevamo fatto nel mese di luglio e in tale occasione gli avevo dato 5 mila euro siccome aveva delle spese da affrontare. I soldi glieli ho dati in mano sulla fiducia senza farmi rilasciare nessuna ricevuta o scritto che attestasse il versamento.

Gli accordi erano che a dicembre gli avrei fatto un bonifico dei restanti 5 mila euro e avrei ricevuto l’auto in cambio. I 5 mila euro erano frutto del mio lavoro ed erano in contanti. Dovevamo quindi vederci a dicembre per lo scambio auto e i restanti 5 mila euro.

Ricordo che quando ho detto a Fedele che non avevo più soldi da dargli e quindi volevo i miei indietro, lui si è iniziato ad arrabbiare e ha fatto il gesto di tirare fuori dalla tasca una pistola che aveva con sé. Io a quel punto ho inchiodato con il furgone, lui ha sbattuto davanti perché era senza cintura, ha perso l’arma che gli è caduta a terra, e io ho reagito di conseguenza: ho raccolto per difendermi l’arma a terra, nel mezzo del furgone, ci siamo azzuffati, e io alla fine mi sono difeso e ho afferrato l’arma da terra e gli ho sparato. Gli ho tirato sul furgone due colpi in testa, il primo nella parte superiore della testa il secondo nella parte posteriore della nuca. Non sapevo come gestire la cosa e mi sono autodifeso.

E’ stata un’azione avvenuta nel giro di pochi istanti. Nel momento in cui ho sparato ci trovavamo in Bevera direzione Calvo. Sono stato cinque minuti fermo per lo choc emotivo e poi ho spostato il furgone verso Calvo, ho preso il cadavere e l’ho infilato dentro un grosso tubo che si trova sotto la strada”.

Una versione non credibile secondo il Giudice

Secondo il giudice la versione di Domenico Pellegrino non è credibile, ma appositamente confezionata, sia perché non suffragata da alcuna prova, sia perché “non conforme” al racconto di Girolamo Condoluci, arrestato all’epoca dei fatti con l’accusa di favoreggiamento per aver aiutato Pellegrino a riportare la macchina di Fedele in Francia dopo l’omicidio, la cui posizione è stata stralciata e inviata per competenza a Imperia in quanto non contestata l’aggravante mafiosa. 

“Il comportamento tenuto dal Pellegrino sin dai primi istanti dopo la commissione del grave gesto delittuoso, laddove oltre a non allertare le Forze dell’Ordine (cosa che ci si attenderebbe da un soggetto che si sarebbe difeso da una aggressione a mano armata, versione sostenuta dall’imputato), ha occultato il cadavere, gettato tutti i suoi effetti personali unitamente ai telefoni della vittima ed al suo, si è liberato dell’arma del delitto, ha cancellato tutte le prove, ed infine si è preoccupato di depistare le indagini all’estero portando l’auto della vittima in territorio francese, nonché la sentita esigenza poi di confezionare una ricostruzione dell’evento ad hoc, come emerge inequivocabilmente dalle intercettazioni, sono elementi già da soli fortemente indicativi della volontà del Pellegrino di celare quanto effettivamente accaduto a partire dal reale movente dell’omicidio sino alla ricostruzione della dinamica del grave fatto di sangue.

Peraltro la versione del Pellegrino risulterà non solo confezionata ad hoc e sfornita di un benché minimo riscontro, ma neppure aderente agli ulteriori accertamenti tecnici che la stessa ha imposto e nemmeno conforme al racconto reso poi dal Condoluci, rivelandosi inoltre intrinsecamente illogica, non coerente e certamente contraddittoria”.

Il movente riconducibile alla criminalità organizzata

Secondo il giudice il movente dell’omicidio è legato con altissima probabilità alla criminalità organizzata, in particolare all’ambiente delinquenziale dedito al traffico di stupefacenti”.

“Le modalità esecutive si conciliano sia con il contesto familiare del Pellegrino, i cui più stretti familiari sono stati condannati per appartenenza alla ‘ndrangheta, cosa di cui peraltro il Pellegrino avrebbe sin da subito messo a conoscenza il Fedele (nel corso del loro primo incontro, ndr) dicendogli che il padre era stato arrestato nel processo La Svolta, ben noto nella zona di Ventimiglia come il processo alle locali della ‘ndrangheta, e quindi presentandosi a lui come soggetto ben inserito in un contesto mafioso altamente pericoloso, sia con lo stesso contesto in cui operava la vittima (Fedele, ndr), interessata personalmente in indagini relative al narcotraffico sia in Francia che in Calabria, e con affini in contiguità con una famiglia vicina alla stessa locale ‘ndraghetista di Ventimiglia.

Tenuto conto, poi, che il movente dell’omicidio fornito dal Pellegrino non ha trovato alcun conforto probatorio, gli elementi unitariamente valutati riconducono l’omicidio ad un contesto certamente illecito, tanto da non poter essere rivelato, con altissima probabilità legato alla criminalità organizzata ed in particolare all’ambiente delinquenziale dedito al traffico di stupefacenti”.

Ecco le prove, secondo il giudice, dei collegamenti con la criminalità organizzata e dell’aggravamente mafiosa

Nelle conclusioni della sentenza, il giudice spiega perché sussiste, a suo giudizio, l’aggravante mafiosa.

“Appaiono indizi gravi precisi e concordanti per ricondurre il grave delitto ad un contesto di criminalità organizzata consentendo di ritenere sussistente l’aggravante di cui all’art. 416bis”.

  • La certa conoscenza da parte del Fedele dell’appartenenza di Domenico Pellegrino ad una famiglia ‘ndranghetista ben nota nella zona del ponente ligure, circostanza che peraltro gli era stata evidenziata dallo stesso Pellegrino nel momento in cui si sarebbero conosciuti.
  • la contiguità degli affini del Fedele al medesimo ambiente di criminalità organizzata mafiosa ed il suo personale inserimento nel narcotraffico.
  • l’incontro di quel giorno (dell’omicidio, ndr) con soggetti del medesimo ambiente.
  • la disponibilità (Fedele, ndr) di 1000 euro in contanti.
  • il riferimento in una conversazione del Foti (persona nota alle Forze dell’Ordine avendo precedenti penali per violazione della legge sugli stupefacenti;  condannato nel processo La Svolta per avere fatto da corriere trasportando stupefacente dalla Spagna all’Italia, ndr), soggetto che Fedele ha incontrato proprio quel giorno (dell’omicidio, ndr), alle gravi conseguenze a cui si può andare incontro solo per 1000 euro di cocaina.
  • la ricezione (la sera dell’omicidio, ndr) sull’utenza in uso al Fedele di un messaggio da un’utenza in uso ad un noto narcotrafficante francese.
  • la circostanza che nei periodi immediatamente precedenti l’omicidio il Fedele fosse molto preoccupato tanto da fare riferimento alla possibilità addirittura che potesse morire.
  • la circostanza che Domenico Pellegrino abbia avuto proprio qualche giorno prima colloquio con lo zio Roberto detenuto per 416 bis (associazione di tipo mafioso, ndr), che anche il giorno dopo l’omicidio i familiari hanno avuto un colloquio con il medesimo detenuto.
  • il commento negativo della sorella del Pellegrino, Roberta, al fatto che si sono seguite sostanzialmente le indicazioni dello zio Roberto (“l’ho sempre detto io sempre sempre di finirla….di finirla….io la mamma tutti tutti di ascoltare tuo zio Roberto hai visto!….di ascoltare il grande eroe di tuo zio Roberto quello si che è un grande eroe…”)
  • la mancanza di un movente in grado di ricondurre nell’omicidio in un contesto diverso laddove quello indicato dal Pellegrino Domenico è del tutto sfornito di un benché minimo riscontro ed anzi smentito dalle emergenze investigative.
  • la significativa circostanza che nessuno e neppure al Condoluci lo abbia mai rivelato.
  • le brutali modalità di esecuzione dell’azione omicidiaria in primis e le particolari modalità di occultamento del cadavere.

 

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