29 Aprile 2024 22:12

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29 Aprile 2024 22:12

Imperia: il Maresciallo Tortorolo in pensione dopo 43 anni. “Non smetterò mai di essere un Carabiniere. Ce l’ho nel sangue”/L’intervista

In breve: Quarantatré anni di servizio nell'Arma dei Carabinieri, tre encomi solenni, nomina da Cavaliere Ordine al Merito della Repubblica e numerosi premi.

 

“Lupo”, “Narcos”, “Nicotina”. Sono questi i “nomi di battaglia” del maresciallo Giulio Tortorolo che si sono susseguiti in 43 anni di carriera nell’Arma dei Carabinieri. 

All’inizio di novembre il maresciallo, dopo il lungo servizio, è andato in pensione e ha deciso di celebrare l’evento insieme a tutti i colleghi con cui ha lavorato nel corso degli anni.

Per conoscere meglio la sua storia e per farci raccontare gli episodi più emozionanti, ma anche più difficili, del suo lavoro ImperiaPost ha deciso di incontrarlo e intervistarlo.

A tu per tu con il Maresciallo Tortorolo

Quarantatré anni di servizio nell’Arma dei Carabinieri, tre encomi solenni, nomina da Cavaliere Ordine al Merito della Repubblica e numerosi premi.

Ad emergere dal suo racconto, però, non sono i riconoscimenti e le medaglie, bensì i momenti di condivisione con i colleghi, le lunghe e complesse operazioni, il contatto con i cittadini e l’impegno di una vita che l’ha portato spesso a grandi sacrifici.

Nella sua carriera ha girato molte stazioni, può ricordare le tappe più importanti?

“Su 43 anni di carriera ho fatto 25 anni di comando delle stazioni.

Nel 1975 sono partito come carabiniere ausiliario a Torino, poi sono passato al battaglione mobile di Firenze, con i caschi, ad affrontare i manifestanti. Dopodiché ho frequentato la scuola sottufficiali, nel 76-78, uscendo vice brigadiere.

Sono stato destinato in Liguria, a Sanremo, dove sono stato nella Radio mobile 2 anni, prima di passare alla squadra di polizia giudiziaria della procura di Sanremo.

Da Sanremo sono passato ad Arma di Taggia, alla sede della Pretura, sempre come brigadiere.

Dopodiché il Colonnello mi ha chiesto di andare a comandare a Santo Stefano, anche se ero brigadiere. Sono stati 10 anni di fuoco, perché c’era guerra tra bande e famiglie, molte sparatorie, spaccio. È stato un periodo molto duro, ma ricco di soddisfazioni. Ho arrestato il responsabile dell’omicidio di Aldo Mafodda e anche il capo della squadra mobile di Imperia Alessi, per detenzione di eroina.

Andando avanti, mi hanno voluto a Sanremo a comandare il nucleo operativo in borghese. Da lì, per l’accusa di 2 pentiti, sono stato accusato di spaccio, e mi hanno trasferito a Genova, nel reparto operativo. Eravamo sempre in giro, Campania, Calabria, Svizzera. Ho collaborato per l’arresto di Bilancia, serial killer che aveva ucciso 13 persone”.

Dopo 4 anni ad Albenga, sono tornato a Imperia, al nucleo operativo. Ho scoperto una rapina in atto, alla Banca San Giorgio di Porto Maurizio. Infine, ho terminato la carriera a Pieve di Teco. La migliore remunerazione di un carabiniere da strada è essere a contatto con i cittadini”.

Come ha vissuto l’accusa di spaccio?

Mi ha cambiato la vita perchè mi ha procurato il trasferimento a Genova. La cosa più terribile è che ho sempre lavorato per l’onestà e la giustizia. Sentirsi accusare di cose fuori dal mondo è devastante e umiliante. Tutto è finito dopo 11 anni con l’assoluzione piena.

I miei figli erano adolescenti in quel momento, sono rimasti molto colpiti dalla vicenda. Quante notti non ho dormito nel timore che dubitassero di me”. 

Quali operazioni ricorda con più passione?

“L’operazione a cui sono più legato forse è quella inerente al primo sequestro di droga a Imperia da 135 kg di hashish. L’indagine era partita con i colleghi di Torino. Abbiamo trascorso un anno a raccogliere intercettazioni telefoniche e ambientali. La banda di piemotesi, bolognesi e francesi caricava l’hashish in Senegal, facevano il giro dell’Africa ed entravano dallo stretto di Gibilterra e si fermavano a Malaga, poi in Francia e infine Sanremo.

Dagli interrogatori erano emersi 14 viaggi da 500 kg l’uno. Sapevo tutto su di loro. Ero andato anche a Malaga a fare le fotografie. In un anno di intercettazioni non si sentiva mai la parola “droga” da nessuna parte. A Sanremo ho messo le manette a 10 persone, i vertici. Grazie a questa operazione ho preso il primo encomio solenne”.

Le hanno dato anche dei soprannomi.

“Sì, il mio nome di battaglia quando ero a Santo Stefano era “Lupo” dato che ero sempre “in caccia”. A Genova, dato che mi occupavo di droga, mi chiamavano “Narcos”.  Ad Albenga e a Genova “Nicotina”, per il mio vizio del fumo”.

Cosa porterà nel cuore di questi anni nell’Arma?

Quello che non dimenticherò mai è il rapporto con i colleghi. Eravamo una grande famiglia. Ricordo che quando andavamo a fare i coordinati di notte facevamo la spaghettata delle 4 del mattino in caserma. 

Al pranzo che ho organizzato per la mia pensione al Corallo ho invitato i miei ex colleghi delle varie stazioni e sono venuti tutti, anche se con alcuni non ci vedevamo da 30 anni. È stata una grande emozione”.

Un lavoro che coinvolge al 100%, come fa a essere conciliato con la famiglia?

“È difficile. C’è bisogno di una persona a fianco a te che capisca il tuo lavoro. Devo ringraziare mia moglie che ha cresciuto i nostri figli, con la quale abbiamo vissuto oltre 30 anni di matrimonio. È mancata 7 anni fa”.

Come sono stati gli ultimi anni a Pieve di Teco?

“Sono stati bellissimi. Ho avuto l’occasione di finire la mia carriera a contatto con i cittadini. Ricordo l’episodio di circa 2 anni fa, quando ho visto una ragazzina di 16 anni che stava per gettarsi dal ponte fuori dalla caserma. Sono stati momenti molto delicati, ma sono riuscito a prenderla e portarla in salvo”.

Un consiglio da lasciare alle prossime generazioni di Carabinieri?

“La mia carriera si è sviluppata sempre a segno di tre principi fondamentali, l’onestà, la giustizia e l’umiltà. Essere vicino alla gente. Questo è quello che insegnavano i vecchi marescialli, come mio padre e mio nonno prima di lui.

Quando ho iniziato, un vecchio maresciallo ci diceva sempre: l’ufficio del comandante di stazione non è l’ufficio della caserma, ma la piazza del paese, dove hai contatto con la gente.

Io non smetterò di essere Carabiniere, è una cosa che ti entra nel sangue”.

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