28 Aprile 2024 13:42

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28 Aprile 2024 13:42

Ventimiglia, la denuncia di Ferruccio Sansa: “Migranti, padre e figlio, separati da un cancello arrugginito”

In breve: Il consigliere regionale Ferruccio Sansa racconta la sua esperienza in occasione di una recente visita a Ventimiglia
“Devono essere padre e figlio. Si parlano. Si guardano. Si toccano la mano. Ma tra loro c’è un cancello. Sono stato ancora una volta a Ventimiglia. Saranno ormai decine da quando nel 2015 è cominciato questo disastro. E alla fine, appena riprendo la strada per casa, mi resta dentro un senso di speranza e impotenza. Speranza per le persone che ho incontrato. Impotenza perché di quelle storie ne ho incrociate ormai decine, centinaia. Cambiano soltanto i nomi, le facce. Arrivano, spariscono inghiottiti chissà dove. Alcuni ce la fanno – e chissà che cosa voglia poi dire davvero, farcela, cosa li aspetti davvero – altri no. Ma in fondo nulla cambia”Lo scrive il consigliere regionale di Centrosinistra Ferruccio Sansa nel suo profilo Facebook, denunciando ancora una vola la situazione di angoscia che si vive al confine, a Ventimiglia. 

Il consigliere regionale Ferruccio Sansa racconta la sua esperienza in occasione di una recente visita a Ventimiglia

Prosegue Sansa: “Parto e penso a quel padre e figlio separati dal cancello. Penso alle madri che allattano nel tendone della Caritas (qui operano tra l’altro anche Diaconia Valdese, We World, Medici del Mondo e Save the Children). Penso ai volontari e ai professionisti che da anni trascorrono le loro giornate vedendosi passare davanti volti diversi, ma sempre gli stessi dolori.
E penso, tanto, alla gente di Ventimiglia che dovrebbe essere un esempio. Ha visto la propria città cambiare volto, deve affrontare ogni giorno disagi, ma non è caduta nella tentazione del razzismo. “Forse perché noi in fondo siamo una città di migranti“, mi ha detto un signore. Chissà, in ogni caso… grazie Ventimiglia, che non sei diventata razzista. Nonostante la politica. Sì, perché a Ventimiglia si sopravvive nonostante la politica. E non grazie alle soluzioni che la politica dovrebbe individuare. Ma qui non voglio fare polemica, non mi interessa attaccare decisioni assurde come quella del Sindaco che ha inibito l’utilizzo dell’acqua del cimitero ai migranti: una guardia armata che presidia un rubinetto!
Parto – ma tornerò presto – con un’idea: migranti, cittadini, volontari stanno tutti dalla stessa parte. Soltanto risolvendo i problemi degli uni si supereranno anche quelli degli altri. Mettere gli uni contro gli altri è follia. Miopia. Parto e penso che davvero la questione è molto più grande dell’acqua di un cimitero. Di Ventimiglia, della Liguria. Perfino dell’Italia e dell’Europa. E mi torna in mente un articolo che ho letto nei giorni scorsi su Le Monde: “Le migrazioni non sono più la rottura delle regole, ma la normalità del mondo”.
No, non sono chiacchiere. Si è proprio capovolta la prospettiva: la fissità, il radicamento in un luogo sono diventati l’eccezione. La libertà di spostamento è ormai la regola. Viviamo in un mondo mondializzato dove i confini sono soltanto sulle carte, ma non più nelle nostre teste e nelle nostre vite: gli strumenti e gli oggetti della nostra vita quotidiana (soprattutto la tecnologia) sono ovunque gli stessi; le idee si spostano e si confrontano con un clic da un continente all’altro; viaggiamo da una parte all’altra del mondo con aerei o videoconferenze; i nostri contatti umani, i nostri affetti, prescindono ormai da ogni segno sulla mappa. Abbiamo lingue sempre più comuni, l’economia segue le stesse regole, la scienza è la stessa. Perfino i virus si spostano senza bisogno di passaporto. Le grandi sfide e le occasioni che dobbiamo assolutamente affrontare in tempi brevi sono i medesimi (l’ambiente, la lotta alla povertà, il lavoro, le incognite della tecnologia).
La ricerca di senso per la nostra esistenza è uguale. I modi di esprimere la nostra condizione umana sono sempre più simili. Tutto si scambia, tutto si sposta. Tutto si condivide e si contamina. E’ la mondializzazione. Presto o tardi, non c’è scelta, dovremo renderci conto che gli interessi nazionali sono destinati a essere superati. La vita li ha già superati nei fatti. Abbiamo un destino comune. Dipenderà da noi decidere se la condivisione, la commistione debbano per forza diventare anche omologazione.
Ma il punto è un altro: su questa terra dove tutto ormai viaggia, non ha più senso fermare proprio noi, le persone. Peggio: fermare i poveri e lasciare invece la libertà a noi ricchi, perché loro emigrano e noi invece viaggiamo. Ci riusciremo forse oggi. Forse domani. Ma è una lotta senza senso, destinata alla resa. E sembra così assurdo allora vedere il sindaco che toglie l’acqua ai migranti. Sembrano così inutili i gendarmi francesi con la faccia truce che fermano, malmenano un migrante, mentre altri mille ne passano.
Viviamo in un mondo ormai senza confini. Anno dopo anno abbiamo lasciato che diventasse così. E’ comprensibile che ci smarrisca (perché siamo aggrappati all’idea che i confini ci difendano invece di isolarci), ma è anche una grande occasione. Una sfida che, comunque, siamo ormai costretti ad affrontare. La diga ormai è rotta, che ci piaccia o no. E l’unico modo è trovare una via comune. La terra ormai è capovolta, prendiamone atto: emigrare, spostarsi è la regola. Un mondo dove viaggiano i soldi, le tecnologie, le conoscenze, le relazioni, le idee, ma si fermano le persone – i poveri – semplicemente non è possibile. Non esiste dogana abbastanza armata, non esistono muri abbastanza alti, da fermare la fame, i bisogni, ma anche semplicemente le aspirazioni e le speranze. E le mie, le nostre, non possono valere più di quelle di chiunque altro. Questo ho visto a Ventimiglia: quel bambino e a suo padre separati da un cancello arrugginito. Mentre intorno a loro tutto si sposta, tutto corre. Tutto si incontra”.

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