29 Aprile 2024 12:54

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29 Aprile 2024 12:54

“Il ringhio”: il melologo dell’imperiese Christian Lavernier con Ugo Dighero sulla migrazione. “Vorremmo che fosse ascoltato da chi dice: ‘Prima gli italiani’. No, prima gli esseri umani”

In breve: Un brano molto potente, intenso e drammatico che affronta una tematica quanto mai attuale

Ci teniamo particolarmente a questo lavoro. Abbiamo studiato ogni nota e ogni lettera. Quando lo abbiamo riascoltato piangevamo entrambi come bambini“. Queste le parole di Christian Lavernier, chitarrista e compositore imperiese di fama internazionale, che ha recentemente pubblicato un melologo con il noto attore Ugo Dighero a tema migrazione.

Un brano molto potente, intenso e drammatico che affronta una tematica quanto mai attuale e che mette di fronte a chi ascolta l’inevitabile consapevolezza che chi affronta un viaggio su un barcone non è solamente un numero, come si ha l’impressione scorrendo le notizie quotidianamente, ma una persona.

“Il ringhio”: il melologo di Christian Lavernier e Ugo Dighero sulla migrazione

Cos’è un melologo?

“A differenza della canzone in cui testo e musica si accompagnano reciprocamente, nel melologo la musica è strettamente legata alla parola, formando un intricato intreccio, una sorta di pizzo, di ricamo, una rete fitta tra musica e parola. Qui, la parola si trasforma in musica e viceversa, creando una forma musicale unica. Mentre nell’opera tradizionale la musica tende ad accompagnare e enfatizzare ciò che accade sul palco, nel melologo la musica diventa un essere parlante, descrive insieme alla parola”.

Com’è nato “Il ringhio”?

“Il “ringhio” nel nostro melologo rappresenta la rabbia interiore, la ribellione contro l’ingiustizia e la disperazione. Questo verso è un grido di coloro che rischiano tutto, la propria vita e quella dei loro cari per salire su un gommone nella speranza di una vita migliore. Quando non c’è più nulla da perdere, si ringhia, ci si ribella come si può.

Il testo è di Ugo Dighero, firmato insieme a me. La musica è mia. Abbiamo iniziato a lavorarci durante la pandemia, per un periodo di tre anni di gestazione, quindi è frutto di un lavoro meticoloso. Quest’opera ha preso vita dalla realtà che vediamo ogni giorno nei telegiornali. Abbiamo voluto mettere in evidenza non solo il numero di persone che arrivano sulle nostre coste e che vengono portate nei centri di accoglienza, ma soprattutto le storie umane dietro questi numeri. Ci siamo chiesti, chi potrebbe mai mettere la propria moglie e la propria figlia in una situazione del genere, se non fosse completamente disperato e senza nulla da perdere? Nessuno. Forse, come sosteneva Gino Strada, dovremmo immaginare i nostri figli in quelle condizioni per comprendere appieno la realtà della migrazione.

Durante la pandemia leggevo un libro di Umberto Eco sulla migrazione, una lectio magistralis che aveva tenuto, e ne ho discusso a lungo con Ugo. In quel libro, Eco afferma una cosa geniale: l‘immigrazione è qualcosa che può essere discussa e gestita politicamente tramite leggi, ma la migrazione è inevitabile e incontrollabile, come un’eruzione del Vesuvio che non può essere fermata, solo gestita quando accade. Possiamo discutere e gestire l’immigrazione attraverso idee, ma la migrazione è un fenomeno naturale che si verifica”.

Alla fine del melologo viene pronunciata una frase/slogan molto indicativo, “Prima gli italiani”. Come mai avete scelto questa frase?

“Sì, abbiamo deciso di riportare questa frase molto in voga che ci ha stancato e che non vorremmo più sentire. Riflette la tendenza a credere che certi eventi non ci riguardino e che non possano capitare a noi. Per questo abbiamo scritto “Il ringhio”, per mettere da parte l’ipocrisia e il politically correct.

Prima gli italiani? Se mai prima gli esseri umani, sempre, comunque e dovunque. La nostra speranza è proprio quella che il brano venga ascoltato da chi pronuncia questa frase”.

Vivendo e lavorando tra Italia e Francia, noti delle differenze di approccio sul tema dell’immigrazione e della migrazione?

“In Francia, a Parigi, la cultura della migrazione è più profonda che da noi. Dovremmo prendere più coscienza di questo fenomeno. Nel frattempo, le persone che muoiono non sono numeri, hanno una storia, una famiglia, un vissuto come tutti noi. Pensiamo spesso che certi eventi non possano accaderci, ma non è così. Forse è successo anche ai nostri nonni. Ma davanti ai bambini che scendono da un barcone, non c’è nulla da ricordare, dobbiamo essere dalla loro parte.

Ci teniamo particolarmente a questo lavoro. Abbiamo studiato ogni nota e ogni lettera, quando lo abbiamo riascoltato piangevamo entrambi come bambini. È stato un processo doloroso, ma ogni dettaglio è stato curato con amore e attenzione”.

 

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