29 Aprile 2024 14:53

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29 Aprile 2024 14:53

Imperia, 25 novembre: 174 donne si sono rivolte al Centro Antiviolenza in un anno. 305 gli accessi al chatbot. “Non è amore quello che ti fa stare male, chiedete aiuto”/L’intervista

In breve: Sono 174 le donne che si sono rivolte come primo contatto al Centro Antiviolenza ISV della Provincia di Imperia nell'ultimo anno, due in più dell'anno scorso.

Sono 174 le donne che si sono rivolte come primo contatto al Centro Antiviolenza ISV della Provincia di Imperia nell’ultimo anno, due in più dell’anno scorso. Di queste, 42 si sono trasferite o rivolte nella regione di origine dove avevano parenti o amici che potevano sostenerle, 132 hanno effettuato il primo e il secondo colloquio con il Centro Antiviolenza e sono state reindirizzate ai servizi o ad altri Centri. Le prese in carico attualmente sono 65, ovvero che hanno proseguito il percorso dopo il terzo colloquio, di cui 17 sono donne straniere. Gli accessi al chatbot ‘Non posso parlare’ sono stati 305.

Questi i numeri resi noti dal Centro Antiviolenza che mostrano come il problema della violenza di genere sia purtroppo sempre attuale e preoccupante.

ImperiaPost ha intervistato Roberta Rota, coordinatrice del Centro Antiviolenza ISV, e Francesca Fossati, volontaria del centro e conduttrice del Gruppo Mutuo Aiuto “Perle Viola”.

Roberta Rota, coordinatrice del Centro Antiviolenza ISV

Qual è la missione del centro?

“La missione del Centro Antiviolenza è quella di assicurare il sostegno e tutela a tutte le donne vittime di violenza. Si articola sul territorio della provincia di Imperia attraverso sportelli di ascolto presenti a Imperia, Sanremo e Ventimiglia, da qui l’acronimo ISV, che sta per ‘Insieme Senza Violenza’ ma indica anche le iniziali delle tre città dove si trovano i centri.

Gli sportelli di ascolto garantiscono alle donne vittime di violenza di ricevere aiuto e sostegno. Ogni sportello si avvale di personale qualificato e specificamente formato per accogliere le donne e accompagnarle in un percorso consapevole di fuoriuscita dalla situazione di violenza e di riconquista della propria autonomia. Quest’ultimo aspetto è estremamente importante perché la riconquista della propria autonomia e della propria dignità fa sì che la donna sviluppi la giusta resilienza per il proprio percorso di fuoriuscita consapevole. All’interno del centro operano, coordinate dalla sottoscritta, assistenti sociali, psicologhe e avvocate, coordinate da una serie di volontarie”.

I dati di quest’anno indicano un andamento in crescita?

“Sì, i primi contatti sono stati 174, in crescita rispetto allo scorso anno, due in più rispetto allo scorso anno.

Per primo contatto si intende una telefonata o un contatto allo sportello dove le donne si sono rivolte per raccontare la loro storia. Di queste, 42 sono state poi reindirizzate al centro della loro provincia di origine, perché magari si trovavano nel nostro territorio in vacanza d’estate.

132 donne hanno effettuato il primo e il secondo colloquio, durante il quale lavoriamo con il metodo SARA, ovvero gestendo il progetto di emergenza per ogni donna vittima di violenza, andando a valutare il grado di difficoltà.
Essendo un ente istituzionale, lavoriamo in sinergia con tutti i servizi. Facciamo parte del distretto sociosanitario 2 e facciamo capo anche ai distretti sociosanitari 1 e 3.

Per quanto riguarda le prese incarico, attualmente sono 65 e sono di tipo sia legale sia psicologico”.

Come comunicate con l’esterno?

“Diamo tanta importanza alla comunicazione e alla visibilità. Oltre a incontri e iniziative, comunichiamo anche attraverso le pagine Facebook e Instagram, dove vengono pubblicati post e video informativi, di attualità, proponendo rubriche dove le donne possono confrontarsi”.

Cos’è il chatbot “Non posso parlare”?

“È un’applicazione di grande aiuto. Si tratta di un chatbot che consente di rispondere efficacemente a un numero illimitato di persone contemporaneamente. Fornisce agli utenti supporto 24 ore su 24, 7 giorni su 7, rispondendo alle domande solitamente più richieste alle operatrici. Funziona in maniera anonima e non lascia tracce. È di grande utilità per comprendere i volti multiformi della violenza nelle relazioni affettive, perché restituisce, pur in forma anonima, una statistica delle domande più cliccate.

Stiamo valutando di inserire anche una nuova app che permette di registrare per un minuto tutto quello che accade intorno alla donna vittima di violenza. Sarebbe uno strumento utile in fase probatoria fornendo prove concrete anche con la geolocalizzazione.

Portiamo avanti anche molti progetti rivolti ai giovani, nelle scuole, come quello dal titolo “Violiamo”, per far riflettere i ragazzi sui concetti di violazione, violenza e amore”.

C’è ancora tanto lavoro da fare per contrastare la violenza sulle donne?

“Sì, è fondamentale seguire le donne vittime di violenza, perché non c’è abbastanza attenzione. Basti pensare al linguaggio di certi film, di certe canzoni e del linguaggio con cui le persone parlano quotidianamente.

Nel ciclo della violenza sono due le caratteristiche fondanti che fanno sì che la violenza sia sempre più pervasiva: l’intermittenza e la gradualità. La prima dipende dal fatto che il partner alterna periodi di maltrattamento e minaccia a fasi di latenza, chiamate luna di miele, in cui chiede scusa e cerca di minimizzare ciò che ha fatto. La gradualità invece significa che le violenze aumentano sempre di intensità.

Non bisogna abbassare la guardia”.

Francesca Fossati, Gruppo Mutuo Aiuto al Centro Antiviolenza

Cos’è un gruppo di mutuo aiuto?

“I gruppi di mutuo aiuto sono incontri in cui si ritrovano persone che hanno affrontato nella vita le stesse difficoltà e gli stessi traumi, come lutti, malattie, disagi psicologici e altro. Il nostro, chiamato “Perle Viola”, è aperto alle donne che hanno vissuto esperienze di violenza.

Le regole prevedono una buona comunicazione, l’ascolto reciproco, l’assenza di giudizi e consigli. Si risponde agli interventi delle altre proponendo le proprie esperienze, in modo che le persone possano trarre spunti e rinforzi”.

In che modo questi gruppi aiutano le donne vittima di violenza?

L’aspetto fondamentale è il fatto che le donne si trovano finalmente con persone che hanno vissuto la stessa esperienza, non sentendosi sole. Il confronto di queste esperienze le arricchisce notevolmente.

In questi casi, l’unica persona che può dire davvero ‘ti capisco’ è qualcuno che ha vissuto la stessa esperienza. Niente è più forte di una condivisione di esperienze, senza intellettualismi o ideologie. La lotta e la sofferenza condivisa le fanno sentire meno sbagliate, finalmente capite”.

Da quanto è presente questo gruppo e quante persone sono passate?

“Dopo lo scioglimento del gruppo precedente, questo gruppo va avanti da 2 anni e mezzo. Al momento conta 6 donne, in totale ne sono entrate e uscite circa una quindicina. L’età è varia, si va dai 20 ai 50 anni, circa. È un percorso di uscita da situazioni di violenza, spesso dopo che si è affrontato il percorso della denuncia o del processo. Si cerca di accompagnare le donne durante momenti difficili, in cui si sentono fragili ed esposte, rasserenandole, accettandole. Spesso infatti hanno paura di non essere credute e le persone mettono in dubbio o minimizzano la loro esperienza”.

Cosa ha imparato in questi anni conducendo questi gruppi?

“Ho imparato moltissimo da queste donne: in primis l’onestà e la sincerità delle emozioni, l’importanza di esporsi e di essere sincere con se stesse”.

Cosa accomuna queste situazioni?

I partner fanno credere loro di essere inadeguate, sbagliate, oltre al maltrattamento fisico, il maltrattamento psicologico è annichilente. La violenza fisica e lo stupro sono considerati da molti partner un diritto. Ci sono episodi di pestaggi, stalking, azioni sui figli per metterli contro alle madri, allontanamento da parenti e amici, isolamento.

Non è amore quello che ti fa stare male, non può esserlo. Bisogna riuscire a chiedere aiuto e chiederlo nei posti giusti, come i centri antiviolenza, che non obbligano alla denuncia, ma sono posti che ti accolgono, ti ascoltano e cercano di stabilire con te, solo con la tua volontà, il percorso da fare. Non c’è giudizio, solo accoglienza.

Nelle vittime di violenza c’è la paura di non essere credute, il terrore, per chi ha figli, di essere considerato un genitore inadeguato, di non avere il sostegno dei servizi. Ci sono le norme, ma sarebbe necessaria una preparazione del personale più adeguata, sia nelle forze dell’ordine che nei tribunale, c’è chi è più preparato e chi meno”.

C’è qualcosa che l’ha particolarmente colpita dalle esperienze di queste donne?

“Il trattamento peggiore è quello che fa perdere la libertà. Una donna ha raccontato che a causa dei maltrattamenti del compagno si sentiva brutta, inadeguata e sbagliata e diceva che non riusciva più a guardarsi allo specchio. Poi, dopo il percorso affrontato, iniziando a uscire dalla situazione, ha ritrovato la gioia di guardarsi allo specchio”. 

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