29 Marzo 2024 12:36

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29 Marzo 2024 12:36

“Musicapost”. La rubrica in collaborazione con Stefano Senardi:”L’album “So” di Peter Gabriel si intitola così perchè…”/XI puntata

In breve: Eccoci alla undicesima puntata di “MusicaPost”, la rubrica di ImperiaPost in collaborazione con il discografico imperiese di fama internazionale Stefano Senardi.

 

Siamo arrivati alla undicesima puntata di “MusicaPost”, la rubrica di ImperiaPost in collaborazione con il discografico imperiese di fama internazionale Stefano Senardi.

Cos’è MusicaPost?

Si tratta di uno spazio in cui Senardi presenta una proposta musicale ai lettori, attraverso una “lezione” di ascolto della musica, facendo scoprire i retroscena, la storia e le leggende che si nascondono dietro i brani e gli artisti che li creano, sfruttando sua la grande esperienza maturata negli anni.

Dopo aver approfondito la “Summer of Love”del 1967,  “Islands” dei King Crimson “Manhole” di Grace Slick“Remain in Light” dei Talking Heads,“Bryter Layter” di Nick Drake, “Rock Bottom” di Robert Wyatt“Astral Weeks” di Van Morrison“The Freewheelin” di Bob Dylan, “Tapestry” di Carole King e “Closing Time” di Tom Waits è arrivato il momento di “So” di Peter Gabriel.

Non perderti le prossime puntate della rubrica di MusicaPost poiché, dopo aver approfondito il panorama musicale internazionale degli anni 60-80, Senardi si concentrerà sulla produzione italiana.

Ho pensato a Peter Gabriel perché è uno dei miei artisti preferiti – racconta Senardi –  ho visto diversi concerti dal vivo e quello di questo album è stata un’esperienza straordinaria e irripetibile”.

Il titolo “So” è molto particolare, il motivo di questa scelta?

“So” è il album da solista di Peter Gabriel ed è il primo a cui dà il titolo. È una curiosità perché Gabriel, nonostante le pressioni degli agenti, è contrario a dare titoli ai suoi album da solisti, infatti a quelli precedenti sono i fan ad attribuire un nome a seconda delle suggestioni e delle copertine. Secondo lui il titolo può sviare l’ascoltatore dal contenuto dal disco, influenzandolo e orientandolo a priori.

Per questo album, però, Gabriel cede alle pressioni e cerca una parola che vuol dire tutto o nulla, So”, ovvero “Così”. Lo sceglie soprattutto come segno grafico”.

L’album ha riscosso molto successo, forse perché è più fruibile dal grande pubblico rispetto ai precedenti?

“Sì, l’album è del 1986 e, oltre ad essere uno dei più importanti che lo consacra come star internazionale a tutti gli effetti, è anche uno dei fondamentali degli anni 80. È un disco in cui si riescono a conciliare le doti di sperimentatore dell’artista e anche una sua propensione a scrivere canzoni più fruibili dal grande pubblico. Quest’opera lo premia al punto che andrà negli Stati Uniti in classifica di Billboard più di 80 settimane di fila.

Gabriel arriva da un’esperienza mitica e leggendaria con i Genesis, di cui è stato frontman per la prima parte della loro storia e dai quali si è staccato per iniziare carriera solista contraddistinta da un impegno sociale e culturale importante e anche per un discorso di sperimentazione.

Si può definire un disco da incorniciare. Ci sono prese di posizione importanti, il solito dolore per il destino dell’umanità, ma anche bagliori di speranza. È estremamente fruibile pur essendo un album di ricerca.

Insieme ad altri 2 album, “Graceland” di Paul Simon e “Remain in Light” dei Talking Heads, di cui abbiamo già parlato, rappresenta la fusione della musica popolare americana con la musica etnica a livello ritmico, ammiccando sia alla musica africana sia a quella brasiliana”.

Per quanto riguarda i singoli brani dell’album?

“Sledgehammer è uno dei singoli ispirato al soul e al suono del sax, al flauto di bambù. Il video è straordinario e ha dominato le classifiche di Mtv. È stato il video più trasmesso nella storia. Nel 1987 ricevette 9 premi al Mtv Awards.

Tra i brani dell’album, quello che mi ha appassionato di più è “Dont’ give up”, un brano che trafigge il cuore e racconta la storia di un uomo disoccupato che racconta alla moglie quello che lui pensa sia un suo fallimento. La moglie, interpretata da voce di Kate Bush, amica e cantante sublime, gli risponde di non buttarsi giù, invitandolo alla speranza.

A tutti gli effetti è una canzone d’amore storica, che sarà poi rifatta da altri, tra cui la versione leggendaria di Willie Nelson e Sinead O’ Connor

“Red rain” parla di una pioggia rossa e si rifà alla paura delle guerre e dell’inquinamento, un brano triste e profondo, così come “Mercy Street”, un altro piccolo capolavoro. Si tratta di un brano suggestivo ed evocativo, di grande fruibilità.

Un’altra curiosità è la posizione del brano “In your Eyes”.

“Uno dei brani, “In your eyes”, quando c’erano ancora i vinili, si trovava all’inizio della seconda facciata perché, se messo alla fine, il basso sarebbe stato troppo ristretto a causa della troppa vicinanza dei solchi, una posizione strategica. Solo poi con il digitale ha potuto metterlo alla fine del disco, dove doveva stare. Questa canzone è caratterizzata dallo scat” (forma di canto della cultura jazz) del musicista senegalese Youssou N’Dour, artista che organizza il festival Womad, dove vengono presentate musiche da tutto il mondo e dal terzo mondo. Ha contribuito in maniera importante alla nascita dell’etichetta World Music.

Al disco collaborano molti musicisti di alto livello.

Il disco rappresenta la creatività a livello massimo di Gabriel e un suono impeccabile, quasi perfetto, senza perdere calore. Ci sono finezze e finiture anche grazie all’affiatamento dei musicisti a partire da Tony Levi al basso e David Sancious alla tastiera, tra le figure che iniziano il processo creativo insieme a Peter Gabirel e Daniel Lanois, che ebbe una gestazione lunga. Gabriel inizialmente ha difficoltà a mettere giù i testi. Ho avuto la fortuna di conoscere il chitarrista David Rhodes, quando ho seguito il disco “L’imboscata” di Franco Battiato, dove c’è “La Cura”, in cui Rhodes è stato chiamato per suonare e accompagnò Battiato nelle tournée dello stesso anno.

Avere a che fare con David amando sia Battiato sia Gabriel è stato molto emozionante per me e mi sono fatto raccontare diversi aneddoti. Lui raccontava di quelle volte in cui Daniel Lanois sequestrava il telefono a Gabriel e un’altra volta l’ha chiuso nello studio perché non si distraesse per concentrarsi sui testi e non farlo andare in giro per i boschi nella campagna inglese. A volte realizzava decine di scelte diverse e alla fine c’erano talmente tante versioni che si disorientavano.

Un aneddoto importante per capire quanto sia un artista sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, talmente tanto che piuttosto mette in discussione la carriera. La ricerca è il processo creativo più importate per lui.

Tra i vari musicisti c’è anche Steward Copeland (Police) e Manu Katchè, entrambi alla batteria”.

Come sono i concerti di Gabriel?

“In un video prodotto da Martin Scorsese del 1987, intitolato “PoV” (Point of View) si vedono le immagini del concerto di questo album e viene fuori un altro aspetto dell’artista, quello della teatralità. Gabriel è anche attore durante l’interpretazione, con diversi cambi di costume, luci spettacolari e scenografie straordinarie”.

 Gabriel, inoltre, era interessato anche a temi sociali.

“Sì. C’è tanto in questo disco. Di questi tempi un artista come Gabriel è un esempio. È uno dei primi a schierarsi insieme a Springsteen con Amnesty International per la lotta per i diritti civili, è interessato ai diritti del terzo mondo, tratta temi di attualità. Tra l’altro, ama l’Italia e vive in Sardegna. Ce l’abbiamo di fronte ogni mattina quando guardiamo il mare.

 Qual è il momento migliore per ascoltare questo disco?

“Il momento migliore per ascoltarlo è il tramonto, per la grande quantità di sentimenti che sprigiona”. 

Tracce

Lato A

Red Rain – 5:39
Sledgehammer – 5:12
Don’t Give Up (feat. Kate Bush) – 6:33
That Voice Again (Gabriel, David Rhodes) – 4:53

Lato B

In Your Eyes – 5:27
Mercy Street – 6:22
Big Time – 4:28
We Do What We’re Told (Milgram’s 37) – 3:22
This Is the Picture (Excellent Birds) (Laurie Anderson, Gabriel) – 4:251

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