27 Aprile 2024 19:27

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27 Aprile 2024 19:27

Imperia: morte Mauro Feola, ecco perché i bagnini sono stati assolti in Appello. “Inerzia e imperizia non bastano per affermarne la responsabilità”/La sentenza

In breve: Secondo i giudici dell'Appello, che hanno ribaltato la sentenza di condanna di primo grado, non vi è la ragionevole certezza che anche un intervento tempestivo dei bagnini avrebbe evitato la morte per annegamento di Mauro Feola.

“E’ indubbio che l’aggravarsi della situazione di pericolo per le due persone in acqua imponeva ai bagnini […] di attivare l’intervento di salvataggio, anche nel caso in cui sia stato il bagnante a porsi nella situazione di difficoltà. L’inerzia e l’imperizia degli imputati è stata grave e va certamente stigmatizzata, ma non basta ad affermarne la responsabilità a fronte di un contesto che, per il rapido precipitare degli eventi ed il breve tempo necessario a predisporre un intervento efficace, non consente di ritenere con alto grado di probabilità che l’azione doverosa, laddove messa in atto, avrebbe evitato l’evento”.

Così i giudici della Corte d’Appello di Genova (presidente Maria Gavina Meloni, Annalisa Giacalone e Daniela Faraggi a latere) hanno motivato la sentenza con la quale hanno assolto, ribaltando il verdetto di primo grado, i bagnini del Papeete Beach, Aldo De Notaris e Caterina Pandolfi, accusati di omicidio colposo per la morte di Mauro Feola, avvenuta il 25 luglio 2015 nel tentativo di salvare il figlio in balia delle onde. 

La Pandolfi e De Notaris, entrambi difesi dall’avvocato Erminio Annoni del foro di Imperia, in primo grado erano stati condannati dal Tribunale di Imperia rispettivamente a 12 e 14 mesi di carcere, pena sospesa. 

Imperia: morte Mauro Feola, assolti i bagnini. Ecco le motivazioni

“E’ fondato – scrivono i giudici – il motivo di appello laddove evidenzia incertezze sulla ricostruzione del fatto quanto alla situazione in cui si trovava la vittima nel momento in cui i bagnini dovevano avvedersi della situazione di difficoltà in cui versava ed attuare la condotta doverosa di salvataggio e quanto alla sufficienza del tempo necessario ad intervenire in sicurezza per soccorrere il bagnante alla luce del rapido precipitare della situazione descritto dai testimoni, delle considerazioni del medico legale e delle indicazioni dei periti circa l’adozione da parte dei soccorritori dei necessari presidi di sicurezza per non esporsi a loro volta a pericolo”.

E’ indubbio che gli imputati si sono rivelati del tutto imperiti e negligenti nell’affrontare l’emergenza e questo è il dato che ha condizionato la decisione del primo giudice. Sono però rilevabili dall’istruttoria dibattimentale plurime incertezze sui tempi necessari ad assicurare un efficace intervento di salvataggio che il Tribunale non ha adeguatamente valutato, trascurando di confrontarsi con il giudizio controfattualc in ordine alla certezza o alla probabilità che l’azione doverosa, laddove messa in atto, avrebbe evitato l’evento, tenuto conto della situazione di fatto e dei tempi richiesti per mettere in atto la condotta doverosa.  Giudizio necessario alla luce dei princìpi affermati in materia di reati omissivi impropri a partire dalla nota sentenza delle Sezioni Unite “Franzese” […] e dalla successiva giurisprudenza di legittimità”.

La ricostruzione dei giudici

“Pur in presenza di divergenze testimoniali, si possono fissare alcuni punti fermi che non vengono contestati. Nonostante l’onda lunga e onde ‘più alte del solito’ (testimonianza Alessandro Feola) i ragazzi facevano il bagno e i tuffi dallo scoglio situato nelle vicinanze della spiaggia libera. Nel tardo pomeriggio, verso le 17, il bagnino De Notaris fischiava per allertare le persone in mare perché le onde stavano ingrossando.

Il figlio della vittima non riesce a rientrare e il padre si butta in acqua per andare ad aiutarlo. In quel momento, come riferito dalla teste Grassi, la situazione è gestibile dal bagnante, tanto vero che Feola entra in mare per raggiungere il figlio, senza chiedere aiuto. La vittima riesce a raggiungere il ragazzo e a rassicurarlo, mentre la corrente li spinge verso il Papeete. E’ a quel punto che la situazione si fa difficile perché padre e figlio non riescono a contrastare la corrente e non riescono a tornare a riva. Alcuni bagnanti della spiaggia libera vanno ad allertare il bagnino De Notaris dell’adiacente stabilimento. E’ questo il momento in cui, con certezza, si deve ritenere che i bagnini del Papeete siano consapevoli di una potenziale situazione di pericolo e che debbano attrezzarsi per predisporre assistenza al bagnante in difficoltà, come previsto dalle disposizioni della Capitaneria di Porto. 

Fino a poco prima, infatti, erano stati sufficienti richiami di allerta per far uscire i bagnanti dall’acqua, tanto è vero che tutti erano usciti senza particolare difficoltà. Solo il figlio della vittima non era riuscito a rientrare. Ma in quel momento il ragazzo si trovava ancora dalla parte della spiaggia libera; la visuale dalla parte del Papeete era ostacolata dallo scoglio e dalle onde: non vi può essere alcuna ragionevole certezza che i bagnini si fossero resi conto della difficoltà in cui versava il ragazzo e dovessero, fin da quel momento, come si legge in sentenza, attivarsi per il soccorso.

E’ provato invece che, dopo essere stati allertati dai bagnanti della spiaggia libera, gli imputati si sono comportati in modo goffo, attendista, sono rimasti intimoriti dal mare che stava ingrossando, non sono stati capaci di affrontare l’emergenza, di compiere valutazioni e neppure di attivare un tentativo di soccorso con i mezzi a loro disposizione. La situazione, in quel momento, è però già molto critica. Le onde, in pochissimo tempo, si sono alzate. Due bagnanti tentano, inutilmente, di lanciare il salvagente portato da De Notaris al Feola e al ragazzo che sono in acqua.

Nonostante i due ‘sembrassero raggiungibili’ non sono in realtà vicini alla riva e le onde non consentono di vederli e di localizzarli. La sentenza stima, sulla base delle testimonianze e delle perizie, una distanza di 50 mt. dalla riva. In quel frangente la vittima, evidentemente con un grande sforzo, riesce a dare una spinta al figlio e consentirgli di scavallare l’onda e rientrare a riva. Il ragazzo è consapevole della grave difficoltà in cui si trova il padre, ormai privo di forze. Disperato, richiede l’aiuto dei bagnini. Da tutte le testimonianze richiamate in sentenza emerge che da quel momento la vittima inizia a manifestare gravissima difficoltà a fronteggiare le onde e la corrente. Si muove a stento, annaspa. In quel momento è già iniziata la fase dell’annegamento descritta dal consulente medico legale del PM. Le fasi di sorpresa, di apnea iniziale, durante la quale l’individuo si agita e cerca di riemergere, e di dispnea respiratoria, quando inizia a respirare sott’acqua perché non è più possibile trattenere il respiro e la glottide si rilascia, durano tra i 2 e i 3 minuti. Nei successivi 3-4 minuti interviene l’annegamento con perdita di coscienza, coma con arresto del respiro fino all’arresto cardiaco”.

Le responsabilità dei bagnini

“E’ indubbio che l’aggravarsi della situazione di pericolo per le due persone in acqua imponeva ai bagnini, titolari della posizione di garanzia correttamente ritenuta in sentenza, di attivare l’intervento di salvataggio, anche nel caso in cui sia stato il bagnante a porsi nella situazione di difficoltà. L’inerzia e l’imperizia degli imputati è stata grave e va certamente stigmatizzata, ma non basta ad affermame la responsabilità a fronte di un contesto che, per il rapido precipitare degli eventi ed il breve tempo necessario a predisporre un intervento efficace, non consente di ritenere con alto grado di probabilità che l’azione doverosa, laddove messa in atto, avrebbe evitato l’evento.

Il perito dr. Quintavalle ha ribadito come il soccorso avrebbe richiesto innanzi tutto la messa in sicurezza degli assistenti bagnanti attraverso l’uso dei presidi in loro dotazione. Ovviamente i presidi obbligatori di cui lo stabilimento è risultato dotato e non quelli facoltativi indicati dal perito come maggiormente idonei al recupero del bagnante in difficoltà in simili casi. Il mare si era rapidamente ingrossato e i due bagnanti in acqua si trovavano a distanza di circa 50 metri dalla riva, in balia della corrente e delle onde che non li rendeva visibili. Considerati i tempi, anche velocizzati, per predisporre il rullo, indossare i giubbetti di salvataggio, ragionare sulle correnti per individuare il punto migliore in cui entrare in acqua per raggiungere più rapidamente i bagnanti, non si ritiene altamente probabile che, dato lo stato avanzato di difficoltà della vittima, l’intervento sarebbe stato efficace per salvarla.

La situazione è precipitata nel volgere di pochi minuti. Nel momento in cui il figlio della vittima è uscito dall’acqua la condizione del padre era già molto compromessa, come risulta dalla drammatica invocazione di aiuto del ragazzo e dalle testimonianze. Anche ad affermare che i bagnini, in quel frangente, avrebbero già dovuto essere attrezzati e pronti per entrare in acqua e compiere il salvataggio, le condizioni del mare, la distanza, la difficoltà visiva di individuare la vittima, rendono assai poco probabile ritenere che nel volgere dei 3 /4 minuti necessari ad evitare l’annegamento- stimati dal CTPM- il soccorso sarebbe stato idoneo a scongiurarlo.

La sentenza, per motivare il giudizio di responsabilità, consapevole della fragile tenuta del giudizio controfattuale, dilata i tempi del soccorso doveroso anticipandoli al momento della difficoltà del ragazzo in mare, prima dell’ingresso in acqua del padre. Valutazione che contrasta con emergenze che provano come in quel momento non solo non fosse evidente una situazione di pericolo del bagnante, ma soprattutto non fosse visibile per gli imputati quel tratto di mare, per via dello scoglio e delle onde e neppure doverosa una loro continuativa presenza o monitoraggio della spiaggia libera. In conclusione, le rilevate incertezze sulla effettiva probabilità che l’azione doverosa degli imputati, laddove messa in atto, avrebbe evitato l’evento, debbono condurre, come richiesto anche dal PG, la pronuncia assolutoria perché il fatto non costituisce reato”.

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