26 Aprile 2024 06:40

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26 Aprile 2024 06:40

Imperia: processo morte Mauro Feola, il drammatico racconto del figlio. “Urlavo disperato, nessuno voleva salvare mio padre. I bagnini non fecero nulla”/L’udienza

In breve: Nel corso dell’udienza fiume sono stati sentiti svariati testimoni, tra cui Alessandro Feola, figlio di Mauro Feola, che ha raccontato i tragici momenti che hanno preceduto la morte del papà.
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Nuova udienza questa mattina del processo che vede sul banco degli imputati Caterina Pandolfi, 21 anni, e Aldo De Notaris, 67 anni, i due ex bagnini del ”Papeete Beach”, difesi dall’avvocato Erminio Annoni, accusati di omicidio colposo a seguito della morte di Mauro Feola, avvenuta il 25 luglio del 2015 nelle acque antistanti il noto stabilimento balneare sul lungomare di Oneglia.

Nel corso dell’udienza fiume sono stati sentiti svariati testimoni, tra cui Alessandro Feola, figlio di Mauro Feola, che ha raccontato i tragici momenti che hanno preceduto la morte del papà.

Processo morte Mauro Feola: il racconto dei testimoni

Jean Claude Orengo (Medico Legale)

“Mi recai in spiaggia per effettuare i primi rilievi sul corpo. Successivamente eseguii l’autopsia giudiziaria. Il compito era quello di determinare le cause del decesso e di rispondere a un quesito, ovvero capire se un intervento tempestivo avrebbe o meno potuto evitare il decesso di Feola.

A seguito dell’autopsia determinai che Feola era deceduto a causa di un annegamento. Nella mia relazione suddivisi l’annegamento in cinque fasi. Una prima fase di sorpresa, con una prima boccata d’acqua riflessa sott’acqua, poi una fase di apnea, che a seconda dei soggetti può essere di 1 minuto e mezzo, due minuti, poi la terza fase, in cui non si riesce più a trattenere il respiro e si inizia a bere acqua, poi le due fasi fase terminali, lo svenimento e la morte.

In totale, le cinque fasi dureranno in tutto 6-7 minuti. Per un eventuale salvataggio si sarebbero impiegati 3-4 minuti. Detto questo, considerati gli elementi che avevo all’epoca dell’autopsia, non avevo l’assoluta certezza che un intervento tempestivo avrebbe potuto salvare il signor Feola. Ai tempi, secondo gli atti, la distanza del corpo da riva era di 70-80 metri (poi accertato che in realtà la distanza era di 20-30 metri, ndr).

Quando si recupera il corpo di un annegato dall’acqua, la prima manovra è quella di svuotare i polmoni. In questo caso, però, il corpo presentava i classici sintomi di morte in mare. Per le prime quattro fasi dell’annegamento è possibile effettuare manovre di salvataggio, alla quinta no, perché sopraggiunge la morte”.

Nicola Vitolo (agente Polizia Penitenziaria fuori servizio)

“Quel giorno ero con la mia ragazza che facevo un aperitivo al Papeete Beach. Il mare era molto agitato. Ero vestito con pantaloncini e maglietta. Sentii urlare ‘uscite dall’acqua’, ma non vidi chi urlava. Sottovalutai quelle urla, non prestai grande attenzione. Poi, dopo pochi minuti, sentii urla più forti e intorno tanta confusione. Sentii fischiare la bagnina. Capii che c’era qualcosa che non andava e mi avvicinai alla spiaggia. In mare vidi un uomo a pancia in giù in acqua. Distanza? Circa 30-40 metri, ma è difficile dirlo con certezza.

In un primo momento vidi le onde molto alte e ci pensai un pò prima di gettarmi in acqua. Mi avvicinai ulteriormente e quando vidi che il corpo non era troppo distante dalla riva, decisi di tuffarmi in acqua. Il corpo di Feola si era avvicinato, ma non di molto, rispetto alla posizione iniziale.

In spiaggia, sulla battigia, intorno a me, c’era solo un ragazzo. Più in là un signore anziano, un bagnino, con un salvagente in mano, e una bagnina che fischiava.

Con un ragazzo, Luigi, entrammo in acqua. In acqua non vedevamo nulla. Ci muovevamo in base alle urla della gente alle nostre spalle. Con fatica riuscimmo a raggiungere il corpo del signor Feola, prendendolo e perdendolo più volte. Quando Luigi riuscì finalmente ad afferrare il corpo, qualcuno ci lanciò un salvagente che ci permise di raggiungere la riva tirati da una corda”.

Alessandro Feola (figlio di Mauro Feola)

“Non ho mai avuto problemi con l’acqua alta. Ricordo che quel giorno facemmo il bagno con alcuni miei amici. Mio padre giocava con la mia sorellina. Quanto entrai in acqua il mare non era molto mosso. Non c’erano bandiere rosse, non sentii alcun fischio. Ad un certo punto mio padre mi disse di tornare indietro, perché il mare nel frattempo si era fatto più mosso. Io, però, non riuscivo più a tornare indietro. Gridai ‘aiuto papà’.

Mio padre si tuffò in acqua e riuscì a raggiungermi. Al suo arrivo provai ad aggrapparmi alla sua gamba per tornare indietro. Non riuscivamo però a tornare. Iniziammo a chiedere aiuto. Ci lanciarono un salvagente, non ricordo chi. Non arrivò sino a noi, però, perché le onde erano troppo forti. Io mi aggrappai a mio padre che nel fratempo continuava a chiedere aiuto. Ad un certo punto andai sott’acqua. Pensai ‘è finita’. Avevo bevuto. Poi, improvvisamente, riemersi, e mi trovai più vicino alla riva. Riusci a raggiungere la battigia, nessuno mi venne incontro, solo una signora con i capelli ricci.

Andai dal bagnino con i baffi, gli chiesi aiuto, gli fissi che mio padre era in acqua e stava affogando. Lui mi rispose ‘Stai zitto! Come ti è venuto in mente di entrare in acqua’. Mi disse che era colpa mia se mio padre era in difficoltà. A distanza di anni, non penso di essere colpevole per quello che è successo a mio padre, ma in quel momento mi ero sentito tremendamente in colpa.

Il bagnino si rifiutò di entrare in acqua. Nessuno si tuffò per salvare mio padre. A volte lo vedevo in viso, a volte con la testa in acqua. Era ancora vivo.

Dopo che il bagnino mi rimproverò, si avvicinò la signora con i ricci e mi disse di stare tranquillo. Andai a prendere la mia borsa per prendere il telefono e chiamare mia mamma, nel frattempo chiesi aiuto a tutti. Ero nel panico. Piangevo e urlavo. Ora, a distanza di anni, capisco che quelle persone avevano paura di entrare in acqua, ma in quel momento per me non era chiaro.

Mio padre rimase sempre in acqua da solo, chiedeva aiuto. Io urlavo “mio padre è ancora vivo andate a salvarlo”. Mio padre era vivo e nessuno voleva andarlo a salvare. Tutti guardavano. Tutti si aspettavano che lo facesse qualcuno, ma nessuno lo faceva.

Quando lo portarono a riva, vidi un sorriso sul suo volto, pensavo fosse vivo, che stesse facendo uno dei suoi scherzi o che fosse solo svenuto. Solo successivamente mi dissero che era morto.

I bagnini non fecero niente. Non rischiarono nulla, non lasciarolo neanche un salvagente.

Dopo la morte di mio padre ero disperato, triste. Avevo da poco recuperato il rapporto con lui.  Non avrò un padre nei momenti più importanti della mia vita, questa è la cosa più dolorosa”.

Stefano Castelli (testimone oculare)

“Ero alla spiaggia con la mia compagna e miei tre figli quel giorno. Ero seduto sulla spiaggia, di fronte al chiosco del Pennello. Mio figlio venne dal mio asciugamano. Mi disse che un signore aveva chiesto aiuto per andare ad andare suo figlio in difficoltà in acqua. In quanto minorenne, anche se dimostra più degli anni che ha, perché molto alto, dissi a mio figlio di no. Andò la mia compagna, io rimasi con i miei figli piccoli.

Ricordo che non c’era bandiera rossa. Il signor Feola riuscì a raggiungere suo figlio. Quando cercarono di rientrare a riva il moto ondoso si alzò e non riuscirono a rientrare. Iniziarono così a chiedere aiuto. Il figlio di Feola riuscito a raggiungere la battigia.

Dopo che rimase da solo in acqua il signor Feola fu ricoperto dalle onde. Un signore anziano, insieme a mio figlio, prese un salvagente. Insieme sbrogliarono la corda e provarono a lanciarlo, ma non arrivava sino al signor Feola.

Alessandro, il figlio del signor Feola, urlava e chiedeva aiuto per suo padre. Poi due bagnanti si tuffarono in acqua per tirare fuori il corpo di Feola. Solo in quel momento vidi comparire i due bagnini”.

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